Le tre porte – anteprima



Capitava, giustappunto, che la scuola avesse indetto la «Settimana dell’istruzione di qualità» che promuoveva un uso consapevole del tempo libero da parte degli studenti. Negli anni passati, l’iniziativa si era concretizzata nella formazione di gruppi d’interesse che, però, non curavano gli interessi dei ragazzi, ma dei professori, infatti non si faceva ciò di cui si aveva voglia, dato che le attività erano interamente organizzate dai docenti.


Così, gli studenti pativano le medesime sofferenze dei matrimoni combinati dei tempi andati, obbligati a stare forzatamente con qualcuno che non ti piaceva affatto. Quell’anno l’istituto aveva compiuto dei passi avanti, concedendo l’iscrizione libera alle attività.


Yuxiang aveva adocchiato tre organizzazioni: il circolo letterario, il workshop di giornalismo e il laboratorio radio-televisivo. Cercò subito di realizzare la sua fantasia di trigamia. Le selezioni erano il sabato, Yuxiang si rase la barba e si lavò i capelli, con l’intenzione di applicare una tattica non compresa nei Trentasei stratagemmi, quella del bello impossibile. Giunto all’ingresso dell’edificio Hu Shi, vide che era pieno di ragazzi venuti a iscriversi.


Si armò del coraggio necessario e si diresse al punto di raccolta del circolo letterario, ma si demoralizzò appena vide il responsabile: era un professore anziano mezzo pelato, con un piede nella fossa, che faceva i colloqui, quindi Yuxiang non poteva sfoderare il suo stratagemma, gli sarebbe toccato puntare sulle proprie capacità. La letteratura in Cina aveva il potere di fare invecchiare la gente precocemente, come era successo al generale Wu Zixu dei tempi andati, cui erano venuti i capelli bianchi per la preoccupazione di dover passare in territorio nemico, perché, facendo la somma delle età dei due assistenti, ci si ritrovava catapultati fino alle Guerre dell’oppio. Se non altro, le modalità di selezione erano innovative: disponevano dieci studenti intorno a un tavolo a discutere delle loro impressioni su un autore o un’opera famosa. Yuxiang fu destinato al tavolo numero due, perciò ebbe modo di osservare tranquillamente la carneficina al tavolo uno. Il responsabile teneva gli occhi strizzati, come se stesse valutando dei grilli, e poi selezionava chi si dimostrava più spietato. Alla fine, trionfò un logorroico che era andato fuori tema di diecimila li, e una studentessa protestò contro l’ingiustizia. Il professore alzò la mano e disse, indicando il tavolo: «Vi diamo le occasioni, sta a voi sfruttarle». Quindi, risollevò la mano per scuoterla, come se fosse la cosiddetta «occasione» e concluse: «Il futuro è l’economia di mercato, dovete abituarvi alla competizione fin da giovani». Intanto, il grillo vincitore rideva sotto i baffi.
Il tema affidato al secondo tavolo riguardava la conoscenza del Sogno della camera rossa e le loro riflessioni personali sul romanzo. Yuxiang non aveva letto l’opera completa, solo una versione ridotta, per di più stracondensata in settecento, ottocento caratteri. Perciò in testa aveva il vuoto totale, nemmeno una vaga idea. La ragazza accanto a lui, che continuava a scattare in piedi, esordì: «È il primo romanzo cinese che presenta le donne come esseri umani e, già solo per questo, meriterebbe di occupare un posto preminente nella storia della letteratura», come se Il sogno della camera rossa non avesse già un posto nella letteratura cinese. Uno studente di fronte si alzò e sbrodolò: «La nostra compagna si sbaglia, oggi siamo qui per discutere del pregio letterario dell’opera e non della sua collocazione». Yuxiang si rese conto che era in mezzo a un fuoco incrociato di giudizi, non poteva starsene zitto, quindi si tirò su e, con voce strozzata, sparò l’unica informazione di cui era a conoscenza: «La prima parte del romanzo è opera di Cao Xueqin, la parte finale è stata scritta da Gao E», tacquero tutti e nove, curiosi di sentire l’opinione del tipo rimasto in silenzio fino a quel momento. Ma Yuxiang non aveva un’opinione, era come uno che deve saltare in un burrone e non gli rimangono vie d’uscita, quindi non può fare altro che lanciarsi, e lui si lanciò: «Secondo me, il romanzo è interamente opera di Cao Xueqin, non c’è mai stato nessun Gao E». Il salto era stato un successo, non solo era morto bene, ma era anche diventato uno spirito immortale, perché il ragazzo di fronte si rialzò per sostenerlo: «Sono d’accordissimo con il mio compagno». La ragazza non ci stava, oltre a mettersi in piedi, picchiò pure sul tavolo alla maniera di Kruscev, scandendo le parole al ritmo dei colpi: «Eppure i fatti provano che i primi ottanta capitoli sono scritti con uno stile e i restanti quaranta da tutt’altra mano, come avrebbe mai potuto Cao Xueqin cambiare completamente forma espressiva?». Dopo aver distrutto la proprietà pubblica, la studentessa si rimise seduta, indirizzando un sorriso a Yuxiang, che dopo averlo sottoposto a un’analisi chimica, stabilì che c’era una componente di ghigno satanico e una di derisione e raggelò. Intervenne il selezionatore, dicendo: «Bene, la discussione è stata particolarmente vivace», quindi trattenne il ragazzo e la ragazza, ma Yuxiang, che era il loro ispiratore, non venne preso. Sibilò un insulto tra i denti e andò alle selezioni del workshop in giornalismo.


Per sua fortuna lì non serviva la bocca, veniva richiesto di scrivere un pezzo sul paesaggio della Numero tre sud. I candidati erano dei grafomani, dato che, dopo mezz’ora buona, non davano cenno di voler posare la penna. Yuxiang, dopo aver descritto il campus in maniera esaustiva, consegnò per primo e se ne andò, convinto di avercela fatta perché gli articoli di giornale dovevano essere concisi ed efficaci.



Il gruppo che si proponeva per il laboratorio radio-televisivo era il più consistente. Un tizio che stava avanti nella fila disse: «Per andare alla tv è come partecipare a un concorso di bellezza, infatti, si presentano tutti quelli fighi, mentre per la radio è un concorso di mostruosità, ci sono cessi di ogni genere». Chi era in coda per la televisione scoppiò in una risata sfrenata, mentre i candidati alla radio, che soffrivano di un complesso di inferiorità, si sentivano davvero dei cessi: i televisivi avevano violato i diritti dei mostri, ferendone l’autostima. Alcuni mostri un po’ più carini intervennero in qualità di ‘ragazze immagine’ della categoria, uno disse: «Voi, che vi mantenete con la bellezza, mi ricordate una certa professione...», non formulò il paragone, lasciando che arrivassero da soli all’oltraggio che aveva in mente. I candidati per la tv non reagirono, e non perché non volessero, ma perché quelli per la radio erano molti di più, circondati da mostri, non se la sentirono di offenderli.



Yuxiang avrebbe fatto sia l’essere umano che il mostro, gli andava bene qualsiasi cosa, sarebbe stato serenamente a vedere cosa succedeva. Ma, ovviamente, l’incaricato al tavolo della registrazione, dopo essersi ritrovato uno studente con una natura alla Yuxiang, lanciò un avviso ad alta voce: «Ascoltate tutti, non potete iscrivervi a due laboratori contemporaneamente, se siete interessati al laboratorio per la redazione televisiva, dovete iscrivervi prima al workshop di giornalismo, faremo una selezione interna». Così su due piedi, Yuxiang non sapeva decidersi: normalmente, più mostri si era meglio si stava, però la competizione sarebbe stata agguerrita e temeva di non essere selezionato. Mentre provava a immaginarsi come presentatore televisivo del notiziario studentesco, intravide Qian Rong in fila per la televisione e, per distinguersi, optò con fermezza di rimanere alla radio.



Il colloquio veniva effettuato in una specie di stanza segreta, si cominciava dichiarando nome e cognome, poi si aspettavano indicazioni, se la voce non veniva considerata piacevole si era liquidati al volo. Yuxiang fu fortunato, perché, con sua sorpresa, superò il primo sbarramento. La seconda domanda era: «Sei spigliato?». Yuxiang rispose con modestia: «Normale». La sua umiltà era come gli sconti del supermercato, non importava quanto ribassati fossero perché ci guadagnava comunque.


Domanda: «Puoi essere più preciso?». Inventò una frottola: «La sera, quando spengono le luci, i miei compagni di stanza stanno tutti ad ascoltare i miei racconti storici». La sua bugia si giocava su tre livelli di senso, il primo era che Yuxiang fosse a suo agio con le parole, in secondo luogo, aveva una ricca cultura storica e, infine, se il provino fosse andato male era perché le luci erano accese e non era sera. Da questo punto di vista, le capacità oratorie di Yuxiang erano come i piedi in pieno inverno che, di giorno, sono infagottati come si deve e non è facile vederli, ma ecco che, quando fa buio, spuntano fuori. L’intervistatore annuì: «Cosa ti ha spinto a candidarti per la stazione radio?». «Voglio mettermi alla prova». «Bene, gentilmente mi racconti quello che hai capito dell’esistenza?».


Si bloccò, dato che non sapeva cosa avesse capito. «Perché non parli?». Yuxiang ebbe un colpo di genio e disse: «Il silenzio è d’oro».



© Metropoli D'Asia. Tutti i diritti riservati Tratto da: Han Han, Le Tre Porte, Metropoli D'Asia (pp.384, euro 16,50)



Tradotto da Silvia Pozzi, 15 Settembre 2011