In visita ai familiari di Chen Guangcheng


2011 Dic
09

In visita ai familiari di Chen Guangcheng
探望陈光诚家人,我们被打出村庄 di Wang Keqin ( 王克勤 )


Storie di soprusi, mafia, corruzione, ingiustizie e divulgazione del vero. Da anni Wang Keqin scrive reportage d’inchiesta. Salito alla ribalta nei primi anni Duemila, il suo blog ospita indagini e riflessioni critiche nella loro interezza, esenti dai tagli e dai vincoli imposti dalla stampa per via della censura.

Chen Guangcheng è un attivista cieco detenuto per anni, liberato e tuttora tenuto agli arresti domiciliari nonostante l’esaurimento dei termini della condanna. Negli ultimi mesi si è ritrovato al centro di una campagna a favore della sua liberazione, che ha coinvolto l’opinione pubblica cinese e internazionale.

Nei giorni in cui è ripreso il dibattito Wang Keqin ha riproposto un post scritto nel marzo del 2009, quando si era recato nella casa dei familiari di Chen –nella provincia dello Shandong- tentando di aggirare il divieto di comunicare con loro. La spedizione contava in tutto quattro persone; oltre a Wang vi prendevano parte uno studente di giornalismo, un amico locale e un autista.

In una breve introduzione alla nuova pubblicazione del post Wang ha evidenziato le pesanti conseguenze del prolungamento della detenzione: «le condizioni fisiche di Guangcheng sono peggiorate e lui si è notevolmente indebolito. I suoi figli hanno raggiunto l’età scolastica. Ma la continua prigionia ha impedito a Guangcheng di seguire le normali cure mediche e ai suoi figli di ricevere una normale istruzione».

A più di un mese dalla pubblicazione il post è scomparso dal suo blog, nonostante lo stesso Wang Keqin ne avesse chiesto espressamente la più ampia diffusione possibile.

[...]

Chen Guangcheng è nato nel 1971 nella contea di Yinan, nello Shandong [...] All’età di un anno una malattia lo portò alla cecità totale. Fino a diciotto anni non poté studiare. Iniziò solo nel 1994, frequentando prima la scuola per non vedenti di Qingdao e poi l’Università di medicina cinese di Nanchino.

Durante il tempo libero si impegnò nello studio delle scienze giuridiche, decidendo così di dedicarsi alla tutela giuridica dei diritti civili.

[...]

In questi anni i contadini che si sono scontrati con delle ingiustizie o che vedevano calpestati i loro diritti andavano tutti alla ricerca di Guangcheng. Non solo disabili, ma anche persone sanissime si rivolgevano a lui per vedere tutelati i propri diritti.

Guangcheng non rifiutava nessuna richiesta e offriva il suo aiuto a un numero sempre più elevato di contadini per difendere la dignità della legge e i diritti civili. Così i contadini presero a chiamarlo "avvocato Chen”, anche se in realtà non aveva affatto questa qualifica.

Nell’autunno del 2005 si recò a Pechino. Di fronte alla possibilità che incontrasse dei giornalisti stranieri fu arrestato dalla polizia dello Shandong. Successivamente fu messo agli arresti domiciliari e nel marzo del 2006 venne prelevato dalla polizia di Linyu. Da allora non ha contatti con l’esterno.

Il 24 agosto 2006 la Corte popolare della Contea di Yinan condannò Chen Guangcheng, il cieco difensore dei diritti, a quattro anni e tre mesi di detenzione per danneggiamento intenzionale di proprietà e del servizio di trasporto pubblico.

[...]

Ora che Guangcheng è dentro già da qualche anno Yinan deve essere diventato davvero un luogo “armonioso” e “tranquillo”.

La Visita
[...] Grazie all’aiuto di due amici dello Shandong sono riuscito a raggiungere in macchina la Contea di Yinan. Con me c’era un mio studente, di nome Zhou Fuzhi.

In casa con Guangcheng vivevano anche l’anziana madre e i suoi due bambini, di quattro e due anni. Perciò ci fermammo a comprare cibo e giocattoli, come quando si fa visita ai parenti di un amico.

[...]

Verso le due e un quarto, a circa cinque chilometri da Menglianggu, sulla statale 205, notai alcune persone sul bordo della strada, come fossero in attesa di una macchina. Ci fermammo a chiedere indicazioni senza immaginare di trovarci già al bivio d’accesso al villaggio di Guangcheng. Non appena ci preparammo a svoltare un uomo di mezza età dal fisico possente si alzò e batté sul finestrino, chiedendo:
«Che siete venuti a fare?»
Rispondemmo di non impicciarsi, ma lui, non pago, formulò ancora la domanda mentre facevamo ripartire la nostra macchina senza dargli attenzione. Ma dopo aver percorso un tratto di strada lo stesso uomo ricomparve al seguito della nostra auto alla guida di una moto.
[...]
Accelerammo e dopo neanche trecento metri ci ritrovammo nel villaggio. Notai un vecchio seduto sul bordo della strada. Gli chiesi dove fosse la casa di Chen Guangcheng e l’uomo rispose che si trovava alle nostre spalle, in un vicolo a neanche trenta metri da noi. Proprio mentre facevamo inversione di marcia sopraggiunse anche l’uomo in moto. Chiese immediatamente al vecchio cosa ci fossimo detti, quindi si piazzò alle nostre spalle seguendoci da vicino.

Circondati e attaccati
Non appena fermammo la macchina all’imbocco del vicolo, l’uomo mise la moto davanti alla portiera e chiese:
«Che volete?»
Noi rispondemmo: «Nulla che ti interessi»
Ma lui riprese subito: «Parlate! Perché siete venuti? Non potete andare lì!»
Noi replicammo: «Se andiamo a trovare dei parenti a te cosa interessa?»
Dopo essere riusciti a scendere dalla macchina aprii il portabagagli per prendere i nostri regali.
L’uomo si mise al nostro fianco e fece una telefonata; dopo avere preso in mano i nostri regali, vedendoci procedere verso l’abitazione, ci bloccò subito la strada esclamando:
«Chi cercate? Non potete andare!»
«Con che diritto ci blocchi la strada?», replicai.
«Sono del villaggio, questo è il nostro regolamento!», fu la sua risposta.
Con la coda dell’occhio vidi allora spuntare quattro-cinque persone dal vicolo. Uno dopo l’altro ci chiesero chi stessimo cercando. Risposi:
«Cerco Chen Guangcheng, e allora?»
Un tipo alto e grasso rispose: «Non potete andare, uscite dal villaggio».
Detto questo mi spintonò facendomi arretrare di qualche passo, quindi mi incalzò chiedendomi se avevo voglia di litigare.
Allora chiesi: «Chi siete voi? Per quale ragione ci bloccate la strada?»
L’uomo grosso come un armadio mi rispose: «Siamo gente del villaggio e se non ti facciamo passare vuol dire che non puoi passare».
L’uomo in moto aggiunse: «Non sapete cosa è successo? Volete ancora vederlo? Ma andatevene che è meglio!»
«E perché non possiamo vederlo?», ribattei.
L’uomo disse: «E chi saresti tu?»
«Sono un cittadino della Repubblica popolare cinese, cosa c’è che non va?»
A quel punto non risposero alle mie parole, al contrario si misero a ridere e con ancora meno riguardo ci circondarono e ci attaccarono.

Anche gli altri tre avevano già iniziato a spintonarci per costringerci ad arretrare. Senza che me ne fossi accorto si erano aggiunti anche altri quattro-cinque uomini.

Il mio studente Zhou Fuzhi cominciò a essere strattonato sul bordo della strada da uno dei nuovi arrivati, uno smilzo, imitatato ancora da un altro uomo che chiedeva se fossimo lì per menare le mani. A più riprese il mio studente per poco non fu gettato a terra. Anche gli altri due ci circondarono e cominciarono a spingerci da una parte all’altra.
Il grasso, il tipo della moto e altri uomini continuavano a occuparsi di me, spingendomi sempre con forza maggiore e iniziando a colpirmi sulle spalle e sulla nuca.
[…]

A quel punto Fuzhi estrasse una confezione di latte e disse:
«Facciamo così. Lasciate uscire solo la moglie, noi le lasciamo le nostre cose e ce ne andiamo»
Uno degli uomini replicò «No, non potete vederla. Lasciateci quello che avete portato e noi provvederemo a consegnarlo»
[…]

Provammo a lasciare il cibo al vicino di Guangcheng, in modo che fosse lui a darlo ai familiari, ma fummo fermati ancora dagli uomini che ci impedivano qualunque contatto con gli abitanti del villaggio.

Sotto le loro pressioni potevamo solo arretrare; nonostante fossero in dieci, vedendoci fare marcia indietro, ci fu ancora qualche coraggioso capace di urlare «Andatevene! Se non ve ne andate ora vuol dire che avete voglia di litigare!».

Il grasso che mi aveva perseguitato mi costrinse a voltarmi verso il lato sinistro della macchina e subito i suoi compagni mi circondarono. Anche gli altri furono spinti fino alla macchina e costretti a rimettere le nostre cose nel portabagagli.
[...]

L’aggressione
Mi spinsero fino al lato destro della macchina, dove l’autista aveva precedentemente aperto le portiere. Proprio mentre stavo salendo in macchina il grasso mi colpì con violenza alle spalle. Non appena io e Zhou Fuzhi salimmo in successione in macchina il piede del grassone si stampò sul mio braccio, mentre urlava:
«Te ne vai o no? Te ne vai o no?»
Quindi si piegò ancora per sferrarmi un colpo sul viso da cui cercai di ripararmi con il braccio destro. Proprio in quel momento l’auto partì e ci allontanammo.
Contemporaneamente, mentre il mio studente entrava in macchina, lo smilzo che lo aveva perseguitato fino a poco prima disse:
«Ancora non te ne vai? Vuoi litigare, non è vero?»
Così dicendo gli sferrò due calci uno dopo l’altro, lui lo guardò con rabbia e l’uomo continuò:
«Che guardi? Ma che guardi?», sferrandogli ancora un pugno sul braccio.
Solo dopo che la macchina aveva percorso dieci metri verso l’uscita dal villaggio riuscimmo a chiudere le portiere, mentre i nostri aggressori continuavano a battere contro il retro della macchina.
[...]

Le telefonate
Alle 14:30 eravamo fuori dal villaggio e in direzione delle case della Contea di Yinan. Dopo circa due chilometri chiamai per la prima volta la moglie di Guangcheng, Yuan Weijing [...].
Sentii la sua voce rispondere e dissi:
«Pronto, Weijing, sono Wang Keqin».
E lei: «Maestro Wang, sei venuto!»
«Sono venuto a trovarvi, poco fa ero arrivato fino alla porta di casa, ma un gruppo di persone mi ha costretto ad andarmene», risposi.
Lei sembrò spaventata: «Maestro Wang, state tutti bene vero?»
«Non è niente, ci hanno solo rifilato qualche calcio».

Allora lei disse: «Maestro Wang, tu non sai che queste persone sono qui davanti casa nostra già da un anno. All’inizio dell’anno scorso, delle persone vennero a trovarmi ma le hanno cacciate a forza di botte, un paio di loro sono stati anche feriti. Andatevene via, presto! Altrimenti non vi lasceranno fuggire. Presto potrebbe spuntare una macchina senza targa al vostro inseguimento per darvi la caccia».

Le chiesi se sapesse di chi potesse trattarsi, se fosse il capo villaggio o gli abitanti stessi, ma lei rispose: «Nessuno di loro, si tratta di spiantati, in tutto ce ne sono ventidue. Ci controllano ventiquattr’ore su ventiquattro, a turno. Ci sono undici persone che non ci mollano un attimo».
Ero molto sorpreso. Weijing proseguì: «Intorno alla nostra casa ci sono solo loro, ogni giorno due persone sono di guardia all’ingresso del villaggio. In genere chi viene a trovarci non riesce nemmeno a entrare nel villaggio, è stata già un’impresa che ci siate riusciti, è la prima volta quest’anno. Abitualmente non usciamo neanche per andare a comprare il cibo o a lavorare nei campi, c’è sempre qualcuno che ci segue. Anche la sera c’è qualcuno che cerca di origliare dalla finestra».

Non potevo crederci! Nella casa di Guangcheng vivevano la madre, la moglie e due ragazzini piccoli, solo anziani, donne e bambini. Mi sembrava impossibile che vivessero in tali condizioni.

Le dissi: «Weijing, ho capito. Ascolta, oggi ti avevamo portato delle cose, poi è successo quello che ti ho detto. Se è impossibile entrare, pensi di potere trovare un modo per allontanarti? Potremmo vederci a Menglianggu».

Weijing mi rispose che avrebbe fatto del suo meglio per trovare un modo.
Così, dopo avere attaccato il telefono dissi all’autista di invertire il senso di marcia e tornare a Menglianggu.

Appena invertita la rotta, vedemmo due moto parcheggiate a circa duecento metri di distanza.

Era proprio come ci aveva detto Weijing! Quelle persone non ci avrebbero mai lasciato andare, ci avrebbero seguiti ovunque! Ero senza parole. La situazione era peggiore di quella che avrei mai potuto immaginare. [...] Dovetti chiedere di nuovo all’autista di invertire la rotta e riprendere la direzione della contea.

Poi chiamai di nuovo Yuan Weijing per dirle che alle nostre spalle c’erano degli uomini che ci seguivano e non c’era modo di incontrarsi. Dopo aver sentito le mie parole Weijing mi disse preoccupata:
«Maestro Wang, andate via presto! Abbandonate lo Shandong, non venite più a trovarci».
Continuò a ripetermi le stesse parole, spingendomi a essere prudente e lasciare al più presto lo Shandong.

Dopo avere riagganciato rimasi in silenzio per molto tempo. Poi chiamai al cellulare il fratello maggiore di Guangcheng, Chen Guangfu. Gli chiesi se era nella contea e se potessi lasciargli i nostri regali da consegnare a Weijing.

Anche la risposta di Guangfu mi lasciò senza parole: «Maestro Wang, andate via subito, non possiamo permetterci che vi accada qualcosa. L’ultima volta io e mia madre ci siamo incontrati in un piccolo negozio con una persona venuta a trovarci, pensavamo che i nostri inseguitori non lo avessero scoperto. Il risultato fu che quel negozietto venne chiuso all’istante e multato di ventimila yuan. Se per gli affari nostri devono andarci di mezzo persone che non hanno niente a che fare con noi, non ne vale la pena. Dovete stare molto attenti».

Volevamo solo vedere come stavano i familiari di Guangcheng, regalare ai bambini dei giocattoli e fargli fare uno spuntino. Portare del latte e un po’ di frutta a un’anziana signora e lasciare loro dei soldi per affrontare le spese quotidiane. Ma tutto questo si era rivelato impossibile.

In quel momento l’autista mi disse di indossare la cintura di sicurezza. Si era reso conto che le moto alle nostre spalle si stavano di nuovo avvicinando.

La fuga
L’auto procedeva a velocità sostenuta, senza dare segni di rallentamento. Avevo capito dal tono di voce quanto Yuan Weijing e Chen Guangfu si preoccupassero per la nostra incolumità.

Le persone che ci avevano circondato e picchiato avrebbero senz’altro fatto rapporto e a quel punto non so se alla contea di Yunan ci avrebbero potuti intercettare.
[…] Dovevamo lasciare subito lo Shandong!

Ma procedere in direzione della contea spaventava l’autista, che temeva di essere fermato dalla polizia locale. Nell’altra direzione ci saremmo avvicinati a Shuanghou. Sebbene nei pressi di quella frazione ci fosse uno svincolo per accedere all’autostrada, l’autista temeva che l’imbocco potesse essere controllato da qualcuno dei loro.

Alla fine mi tornò in mente il modo in cui nel 2007 riuscii a scappare dallo Shanxi seminando gli sgherri delle miniere illegali di carbone (1): far passare la nostra macchina per la vettura di due sposi!

Così chiesi immediatamente a Fuzhi di percorrere alcuni chilometri fino alla statale e raggiungere a piedi la Contea per comprare due targhe usate per le auto adibite ai matrimoni. Dopo un’ora, alle 16:30, Fuzhi era di ritorno e coprimmo la targa anteriore e quella posteriore con le due scritte “cento anni di felice unione” e “per sempre uniti”, attaccando sul vetro anteriore i due ideogrammi rossi rappresentanti la felicità (2).

In questo modo lasciammo con successo il territorio della Contea di Yinan e alle 20:00 potemmo infine uscire dallo Shandong. Chiamai all’istante la moglie di Guangcheng per dirle che eravamo al sicuro e lei mi disse: «In questo momento ci sono tre, quattro persone che mi girano intorno e non ho modo di stare al telefono; l’importante è che siate al sicuro, questo mi tranquillizza. Ero davvero preoccupata che poteste finire nei guai per essermi venuta a trovare».

Anche se Guangcheng avesse commesso un crimine gravissimo non si sarebbero potuti imprigionare tutti i suoi familiari.
Anche se Guangcheng avesse commesso un crimine gravissimo non si dovrebbe impedire ai suoi amici di andare a trovare i suoi familiari.

[...]

«Ci sono tante e tante persone che la pensano allo stesso modo. Tutti ripetono che questa società è malata per un motivo o per l'altro e che è così buia e oscura. Ripetono tutti le stesse parole.
Ma tu, hai mai pensato che cosa hai fatto per questa società? Anche se pronunciassi solo una parola giusta, se facessi una cosa buona sarebbe già abbastanza. Anche se questa società ha un sacco di problemi, ti basterebbe cambiarne un pezzettino. Fare del tuo meglio. Se tutti si comportassero in questo modo, allora sì che la nostra società cambierebbe
».
--- Chen Guangcheng

[...]

(1) Il riferimento è a un’indagine compiuta nel 2007 (pubblicata sul blog di Wang Keqin in cinque parti), che portò alla luce il giro di interessi e la collusione tra i proprietari delle miniere di carbone illegali e le autorità del governo, del partito e della polizia locali in molte località della provincia dello Shanxi. (2) Le due espressioni “cento anni di felice unione” (百年好合 bainianhaohe) e “per sempre uniti” (永结同心 yongjietongxin) sono due formule di buon augurio utilizzate in occasione dei matrimoni. Anche la successione di due ideogrammi uniti tra loro e di colore rosso indicanti la “felicità” (喜 xi) è un simbolo ricorrente e di buon auspicio nei matrimoni.



Tradotto da Mauro Crocenzi, 09 Dicembre 2011