Il mio desiderio è spendere tre o quattro mesi l'anno per andare a fare foto. Fotografare quei luoghi, quelle persone, quelle atmosfere, quello che è già accaduto o quello che deve ancora accadere. Quelle persone con il volto dai tratti indistinti. Per quale ragione voglio andare lì? Lo ignoro. Cos'è che mi affascina? Lo ignoro. Ogni volta che sono a Pechino nella mia stanza, non vedo l'ora di vedere in quei luoghi. E poi parto. Lì non mi sono imbattuto nella cosiddetta storia commovente o nell'esperienza difficile da dimenticare.
Il sole sorge e tramonta, cammino da solo, fotografo e ascolto. La macchina fotografica appesa al collo, osservo lo scenario che mi interessa e lo fotografo. Il cavallo, il deserto, l'acqua, il remoto orizzonte.... Queste sono le cose in cui mi perdo. Poi c'è la gente dai volti indistinti, i loro profili, vedere le loro spalle, le loro spalle che si allontanano.
Sono luoghi in cui in passato è accaduto qualcosa di glorioso. Oggi la gente del posto, come me, non ha nulla da fare. Ho fotografato i ritratti dei volti indistinti. Una persona mi ha chiesto: “Perché non fotografi la nitidezza?” Ho risposto: “A che servirebbe?”
In viaggio, a volte, il cielo è sempre coperto. La pioggia batte fitta. Mattina? Mezzogiorno? Pomeriggio? Non lo so, non si riesce a capire. Se ci fosse il sole e non mi fossi appena svegliato, potrei indovinare. In quei giorni di pioggia, non provo nulla. Il vuoto. Una bussola sopra al magnete.
Tradotto da
Désirée Marianini, 18 Dicembre 2012
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