Una spiegazione sulla mia vita



Xu Xing, scrittore e regista affermato, classe 1956, si racconta ai lettori. Il suo famoso libro E quel che resta per te, sarà ripubblicato in cinese dalla casa editrice della Normale del Guangxi, invece di rimettere mano al libro, l'autore preferisce descrivere nel suo blog piccoli dettagli della sua vita, dall'infanzia all'età adulta. Un modo per avvicinarci ad un autore, ma anche di visualizzare e riflettere sulla Rivoluzione Culturale e sugli anni che sono seguiti.



Sono nato in una normale famiglia di intellettuali, entrambi i miei genitori hanno ricevuto una buona educazione. Mio nonno paterno proveniva da Harqin nella Mongolia interna, durante la Repubblica di Cina studiò presso l'Università Mongolo Tibetana (chiamata oggi Università delle Minoranza Etniche). Lì sono ancora conservati alcuni documenti in cui si vede mio nonno guidare degli studenti che partecipavano ad un movimento studentesco.
Era la Repubblica di Cina. Mio padre concluse la sua ridente educazione in un ridente politecnico. Mia madre, invece, nacque in una cittadina del Liaoning da una famiglia di pastori cristiani, e in una scuola cristiana terminò i suoi studi da ostetrica.

Mio padre da giovane doveva essere il tipico ragazzo amante dei libri, la nostra casa ne era piena. Da quando ho ricordi, mio padre cominciò a trasmettermi l'amore per la letteratura. Mi chiedeva d'imparare a memoria versi antichi sempre più complicati man mano che crescevo. Ero un vanto in confronto ai bambini della mia stessa età. Oggi, molte poesie, incise profondamente nella mia mente, riesco ancora a recitarle a memoria tutte di un fiato. I miei genitori non trascurarono neanche di farmi avvicinare alla letteratura straniera. Quando ero piccolo, mia madre si abbonò al giornalino illustrato “Il bambino” dove c'erano ancora storie per bambini dei paesi dell'ex europa dell'est, sebbene le relazioni tra Cina ed ex Unione Sovietica fossero già ai ferri corti.

Nel giornalino, i personaggi avevano fazzoletti rossi allacciati stretti al collo e indossavano scarpe di pelle giallo oro. C'erano bimbe bionde con gli occhi azzurri della Lega dei Giovani Pionieri sotto una gigantesca bandiera rossa, in un altro libro per bambini, le immagini e erano tratte dalla mitologia romana e dell'antica Grecia.
Nella testolina di me bambino si tessevano numerose velleità letterarie. La mia infanzia non la si può considerare eccezionale, ma comunque cibo e vestiti non mi sono mancati.

Da adulto, ripensando a tutto questo, ho capito quanto hanno dovuto sopportare i miei genitori e nonostante tutto, sono riuscito a godere della felicità che sono stati in grado di darmi. Rispettavano i miei sogni letterari, mio padre spese perfino una grossa somma di denaro per trovare un insegnante e comprare una fisarmonica tedesca a ottanta bassi.
In confronto alla cinquantina di bambini che vivevano nel mio comprensorio facevo molte attività che prescindevano dalla scuola. Una punizione che mi dava mia madre quando facevo qualcosa che non andava era “oggi non puoi leggere” oppure “se non fai tutti i compiti non apri altri libri”.

La rivoluzione culturale è arrivata all'incirca quando mi sforzavo di capire “I briganti”. In quel clima a scuola non si studiava, imparavamo solo a “criticare” questo e quello, a come utilizzare i fumetti per diffamare Liu Shaoqi; oppure cantavamo tutta una serie di canzoni del tipo: “Grande è l'amore del partito, più grande del cielo e della terra, profonda è l'amicizia di classe, più profonda del mare e del fiume, grande è il socialismo, più grande di cento e di mille, grande è l'affetto del presidente Mao, più grande di quello della madre e del padre”.

Mio padre non aveva tempo per me. Nei miei ricordi spesso non era in casa, ogni volta che c'era, era chino sul tavolo a scrivere, peccato non fosse letteratura. Scriveva lettere a chiunque, dava spiegazioni per iscritto ai dipartimenti dei vari uffici. Quelle lettere erano una comunicazione di anni ed anni. Scriveva anche ai suoi amici dell'adolescenza, per provare che la gente diceva cose in base alla situazione in cui si trovava e per ribadire di nuovo tutto quello che era accaduto.

Ho un ricordo molto inteso di quando scriveva, la sua espressione afflitta, lo sguardo austero e fiero, incapace di piangere. Finito di scrivere, mi dava la lettera per imbucarla nella casetta della posta per strada, mi dava molto fastidio in quando succedeva troppo spesso. Alcune volte buttavo le lettere nella cassetta senza il francobollo e con i soldi mi compravo le caramelle.

Padre, quando eri in vita non ho fatto in tempo a parlare francamente, dalle anime del cielo spero tu possa perdonarmi. Meriti di rivivere, lì non scriverai mai più parole sterili, insostenibili da sopportare.

Nell'inverno del 1967 avevo undici anni, mio padre era stato trasferito in un altro luogo con una mansione di basso livello, lo stesso è successo a mia madre. Io ero con lei, in una piccola città nel nord ovest cinese. Era la prima volta che viaggiavo: trenta ore di treno, due giorni e una notte di camion sulle strade di montagna prima di arrivare a destinazione. Era anche la prima volta che venivo in contatto con la povertà, la decadenza, la miseria, la desolazione della gente e della loro vita. La crudele volgarità delle persone sotto il settarismo della rivoluzione culturale entrò con vigore nella parte più profonda dei miei occhi, dentro di me si scatenò una forte ansia.

Cominciai a nutrire un principio di sospetto per questo mondo, sarò stato puerile, ma da quel momento in poi il mondo degli adulti non era più un mistero.

Sei mesi dopo, mia madre mi fece trasferire a Pechino per farmi avere un'educazione migliore. Al tempo mio fratello e mia sorella erano già stati spediti in posti diversi in campagna a lavorare. La casa della nostra famiglia era già stata occupata da una coppia che faceva parte dell'unità di lavoro in cui mia madre aveva lavorato. Erano del Gruppo di lavoratori per la propaganda del pensiero di Mao Zedong.
Con me erano buoni, la donna aspettava già un bambino. Avevano organizzato tutto e mi avevano sistemato. Eccomi a Pechino: una situazione totalmente sconosciuta e una stanza di quattordici metri quadri.
Avevo dodici anni e la mia vita da solo a Pechino era cominciata. Con il senno di poi, la mia infanzia spensierata era finita.

Tutti i cinesi dovevano leggere i libri indicati nelle strette restrizioni di Mao, Lenin e Stalin, ovviamente non c'era nient'altro.
Ho visto con i miei occhi una ragazza in treno leggere Anna Karenina e venire portata via nel vagone ristorante da un militare con la fascia rossa al braccio. Nel breve momento in cui la ragazza era via, la madre cominciò a piangere agitata. Poco dopo la ragazza ritornò desolata, nelle sue mani non c'era più il libro.

In quella situazione, in treno, in cui un libro attirava l'attenzione di tutti quanti, oggi possiamo dire che la ragazza se l'era cercata. Ma era una ragazza molto bella, e il militare, prendendo a prestito il concetto del declino della corrotta borghesia, volendo rimanere da solo con la ragazza, forse se era stata più lui a cercarsela quella situazione.
La mia carta degli studenti aveva una pagina ciclostilata in più rispetto agli altri bambini. Aveva il timbro ufficiale della scuola per certificare che i miei genitori erano da un'altra parte del paese. Ogni anno, in base a questo piccolo pezzo di carta, potevo comprare due biglietti del treno e fare visita ai miei. Al tempo tutte le persone che viaggiavano dovevano avere una lettera di referenze, un documento rilasciato da un'amministrazione più alta del distretto o più alta di un reggimento militare in modo che a Pechino fosse chiaro che il biglietto era stato acquistato.
La mia carta degli studenti rispetto a quella degli altri bambini possedeva incredibilmente un minuscolo privilegio. Viaggiavo due volte l'anno e questo mi faceva apparire con più esperienza e maturità in confronto ai bambini della mia stessa età.

Da allora in poi viaggiare mi ha incantato.

Tradotto da Désirée Marianini, 26 Giugno 2012
 



altri articoli dello stesso autore
1 2