“Attenzione spostato morto” è un racconto di Han Dong, presentato in traduzione inedita nell'ambito della tesi di laurea "La sfida della sopravvivenza tra individualismo e marginalità: traduzione di due racconti di Han Dong". La storia è ambientata a Nanchino e narra la vicenda di un uomo che giace morto a lato della strada, tra la curiosità e l'indifferenza dei passanti, attratti più dall'ambiguità della scritta sul cartello che l'uomo ha addosso che dal reale caso umano.
Un uomo steso a lato della strada, morto.
Sono a Jimingsi, la fermata dell’autobus numero 31, che è anche una fermata dell’11, del 16 e dell’1, e perciò c’è sempre un gran viavai di persone. Quell’uomo era lì già da prima, quindi, nel momento stesso in cui la gente si accorgeva della sua presenza, lo trattava come qualcosa che era sempre stato a lato della strada e che, sebbene non fosse certo un decoro per l’ambiente circostante, non era neanche così terribile. Insomma, si poteva far finta di non vederlo, proprio come si fa con gli idranti.
Chiaramente la gente non è ancora diventata così insensibile da poter ignorare un cadavere in bella vista sulla strada. Era solo un po’ perplessa: sarà morto davvero? Forse si è solo sdraiato dove capitava per riposarsi un attimo, ce n’è tanta di questa gente che non tiene alla propria faccia e non si cura della buona condotta… è proprio perché sono spregiudicati che sono così sereni. Magari sta dormendo della grossa!
Tutti lo evitavano, cercavano di schivarlo o di guardare da un’altra parte, semplicemente per una questione di rispetto nei confronti di un certo stile di vita. Chiaramente, tra tutta la gente che passava in fretta e furia, c’era anche chi gli lanciava un’occhiata di sdegno, ma credo che fossero di più quelli che lo facevano per timore. Le persone scendono dall’autobus ognuno con le proprie faccende da sbrigare e non è il caso di impicciarsi dei fatti degli altri. Però c’era chi, avendo necessità di passare di qui per la seconda o la terza volta in un giorno, e vedendo quell’uomo ancora steso a terra immobile, iniziò a prendere la cosa sul serio. Anche quelli che per sbarcare il lunario sono costretti a rimanere qui tutto il giorno, vedendolo che restava sempre sdraiato lì, si erano sentiti inspiegabilmente a disagio.
La vecchia che se ne sta seduta davanti ai bagni a raccogliere le mance, così come il commesso dello studio fotografico che dà sulla strada e il poliziotto che dirige il traffico all’incrocio cinquanta metri più in là, durante la loro interminabile giornata, avevano tutti, a loro modo, fatto caso a quella strana presenza. Infine c’erano le mosche, che gli si posavano sopra ancora più insistentemente degli sguardi delle persone.
Con l’arrivo delle mosche, la gente si rese conto che la cosa era sospetta. La vecchia fu sorpresa del fatto che nei bagni ci fossero stranamente meno mosche rispetto agli altri giorni, e si scoprì che erano state tutte attirate da quel barbone. Per via del suo lavoro, da tempo si considera la padrona indiscussa di quelle adorabili mosche e in quel momento, mentre con gli occhi sbarrati le guardava andarsene abbandonandola così, non poté trattenere la gelosia dal divamparle dentro. Voleva liberarsi di quell’uomo, così da riavere indietro le sue mosche, perciò avanzò di qualche passo e si mise a gridare a gran voce verso di lui.
Vedendo che non rispondeva, gli diede un colpetto col piede. Il braccio che copriva il volto dell’uomo cadde inerte, rivelando un colorito grigiastro. La vecchia lanciò un grido in preda allo sgomento e tutti capirono all’istante che si trattava di un morto.
Alla fine quel tizio aveva suscitato lo scalpore generale, ma il trambusto non durò a lungo. Tra la folla di curiosi che si era radunata lì attorno, un uomo piuttosto anziano decise che era davvero uno spettacolo orrendo e perciò bisognava coprirlo in qualche modo, come vogliono le regole del buon costume. Così si mise a cercare nei paraggi qualcosa che potesse coprire il volto del cadavere, ma non trovò niente che servisse allo scopo. I progressi nello sviluppo delle città sono davvero sorprendenti: su questa strada vecchia un secolo, a parte i petali dei fiori di ciliegio sparsi qui e là, non c’era nulla che potesse fare al caso suo. La gente si è abituata a buttare noccioli della frutta e rifiuti vari nei bidoni della spazzatura e si è ormai ampiamente diffusa la tendenza generale dell’amore per la pulizia. Il vecchio si lasciò sfuggire un’esclamazione nostalgica sui bei tempi andati. Poi gli venne in mente quella bottega di alimentari poco lontano da qui e si avviò con l’intenzione di andare dal proprietario a chiedergli uno scatolone usato.
Anche se usato, uno scatolone non è carta straccia, lo si può ancora vendere e ricavarne qualche soldo. Ci sono tre università qui vicino, gli studenti spesso sganciano uno yuan per uno scatolone usato, che a loro serve per metterci dentro i libri o altre cianfrusaglie. Per il proprietario della bottega sono gli affari migliori, perciò non poteva proprio permettersi di chiudere un occhio. Il vecchio lo informò che poco più in là c’era un morto e quindi gli servivano due scatoloni. Il proprietario rispose: «C’è un morto, e allora? Se vuoi i cartoni, porta i soldi e comprateli».
Il vecchio precisò che non aveva niente a che vedere con il morto, per quale motivo avrebbe dovuto tirare fuori lui i soldi per gli scatoloni?
Siccome il proprietario non aveva voglia di bisticciare con il vecchio, gli diede uno scatolone in cambio di cinquanta centesimi e si considerò soddisfatto. Poi lasciò la moglie a badare alla bottega e si unì alla folla per godersi lo spettacolo.
Il vecchio con estrema cautela scostò il cadavere dal ciglio della strada, poi strappò il cartone e glielo posò sul volto; quanto alla parte dalla cintola in giù, non avendo altri scatoloni, fu costretto a lasciarla scoperta. Una volta finito, il vecchio fece qualche passo indietro per ammirare il suo capolavoro, senza dubbio ora era tutta un’altra cosa.
Dal momento che aveva una scatola di cartone sulla testa, quell’uomo non sembrava più palesemente un morto come prima. Adesso sembrava un vagabondo che dormiva profondamente a lato della strada e per ripararsi dal sole si era messo in testa la prima cosa che aveva trovato: era un tocco di autentico buon gusto in quest’angolo da cui passa sempre un sacco di gente. Ovviamente in questo modo era molto facile cadere in errore e il vecchio temeva che lo avrebbero scambiato per una persona viva. E chi lo sapeva di che cosa era morto? Standogli troppo vicino chissà che non si potesse prendere qualche strana malattia.
Quello (il vecchio) non riusciva a starsene lì con le mani in mano e voleva a tutti i costi scrivere qualcosa sullo scatolone per avvertire i passanti. In quel momento un giovane con la faccia da artista tirò fuori dalla tasca un grosso pennarello, lo porse al vecchio e gli disse: «Usi pure questo». Il vecchio lo prese in mano e lo maneggiò un po’: «Che puzza ‘sto inchiostro!». Prima di iniziare a scrivere cercò un giornale vecchio per farci sopra una scritta di prova.
«È da tanto che non scrivo, non ridermi dietro se scrivo male».
«Ma si figuri» rispose il giovane artista.
Poi arrivò il momento della meticolosa scelta delle parole. Il vecchio pensò che, tra tutti i presenti, soltanto il giovane artista aveva un briciolo di cultura (per lo meno si portava dietro un pennarello, ed era anche un gran pennarello), perciò si consultò con lui più e più volte. Nessun risultato. La vecchia dei bagni, invece, che conosceva bene i retroscena della faccenda, intervenne dicendo che il morto, quando era vivo, era uno spostato, uno psicopatico. A quel punto il vecchio esclamò: «Ci sono!». Immediatamente prese il pennarello e scrisse sul cartone tre parole a caratteri cubitali: ATTENZIONE SPOSTATO MORTO.
La folla approvò e tutti dissero che era una gran bella scritta. Il vecchio rispose: «Ma che bella e bella! Solo con il pennello si capisce se uno scrive bene o male». Restituì il pennarello al giovane artista, si fece largo tra la folla e se ne andò indignato.Il giovane artista proseguì il lavoro del vecchio, da sotto la giacca tirò fuori un gesso (chissà da dove aveva preso tutta quella roba per scrivere, davvero notevole) e disegnò un cerchio sul selciato, tutto attorno allo spostato che rimase così all’interno. Per questo non serviva chissà quale tecnica, bastava saper disegnare una linea chiusa. Il messaggio era chiaro: tutti i curiosi attorno erano stati tagliati fuori dal cerchio. Poi, anche il giovane artista se ne andò. A quel punto il primo gruppo di spettatori che si era radunato qui si sciolse e ognuno tornò alle proprie faccende.
Soltanto lo spostato rimase steso lì, tale e quale a prima, ma con uno scatolone sulla testa in più. Ora era ancora più facile per lui essere ignorato (eccezion fatta per le mosche, che gli dimostravano il doppio dell’affetto).
La gente era attratta dai ciliegi colmi di fiori ed erano soltanto le mosche a essere fuori controllo dall’eccitazione mentre, volteggiando sul corpo dello spostato, seguivano traiettorie talmente elaborate da confondere le idee a chiunque. E la vecchia dei bagni le insultava senza sosta, dicendo che non sarebbero andate molto lontano, l’unica cosa che sapevano fare era seguire l’odore della carne puzzolente! Se non fosse stata ligia al dovere per natura, se ne sarebbe andata via in preda alla rabbia. Purtroppo, però, non era possibile spostare i bagni, e lei non poteva far altro che starsene seduta lì, col cuore pervaso dal senso di abbandono.
Mezz’ora dopo, dalla strada arrivarono due scolaretti che giocavano a rincorrersi. Quello che stava davanti teneva la testa girata all’indietro, perciò, non si accorse dello spostato, inciampò e per poco non cadde a terra. Fu però abbastanza pronto da scavalcarlo restando su una gamba sola e continuò a correre in avanti. Lo scolaretto che stava dietro si fermò davanti allo spostato e disse all’altro: «È un morto quello che hai quasi pestato». Quello tornò indietro camminando lentamente fino alla linea bianca, si fermò e, leggendo la scritta sullo scatolone, esclamò: «Era uno spostato». L’altro lo corresse: «Ma no, è soltanto un morto che è stato spostato qui».
I due iniziarono a battibeccare, entrambi appigliandosi alla scritta sullo scatolone e, poiché avevano ragione tutti e due, non la smettevano più di litigare. Alla fine arrivarono a una conclusione: era uno spostato, morto, che era stato spostato lì. Quindi era tanto uno spostato morto, quanto un morto spostato.
Quello che poco prima stava correndo davanti disse: «Io l’ho appena toccato col piede» e sembrava che, per questo, non avrebbe mai più temuto il suo compagno di classe più alto di lui.
Lo scolaretto alto gli rispose: «Ci sei finito sopra per sbaglio. Scommetto che adesso non avresti il coraggio di rifarlo».
Quello basso ribatté: «Perché mai non dovrei avercelo?». Avrebbe voluto andare a tirare un calcio allo spostato, ma allo stesso tempo temeva che quello alto, poi, lo avrebbe acciuffato. Stavano uno da una parte del cerchio e l’altro da quella opposta, con lo spostato nel mezzo. Quello basso aveva paura che l’altro gli stesse tendendo una trappola, sembrava proprio che temesse di più lui dello spostato morto.
Quello alto disse: «Io non ho per niente paura». Entrò nel cerchio e prese a calci lo scatolone. Quello basso, poiché ora la distanza tra i due era diminuita, fece istintivamente un passo indietro e a quel punto quello alto esclamò: «Fifone! Hai paura di un morto! Hai paura di uno spostato!».
Quello basso rispose: «Guarda che io non ho paura! Se tu riesci a stare fermo lì per un po’, allora ci riesco anch’io».
La competizione tra i due attirò una cerchia di spettatori. Quei passanti in fremito non erano granché interessati allo spostato, erano attratti piuttosto dal coraggio dello scolaretto, e i loro commenti esprimevano autentica ammirazione. «Noi da piccoli eravamo molto più ingenui, mica come i ragazzi di oggi!» dicevano. Lo scolaretto alto a quel punto aveva già dimenticato il suo scopo iniziale (catturare il suo compagno) e, rimanendo all’interno del cerchio, iniziò un provocatorio conto alla rovescia ad alta voce. La gloria da lui così facilmente ottenuta scatenò l’invidia di quello basso che, con un coraggio che non sapeva nemmeno di avere, entrò nel cerchio e spinse fuori l’altro con veemenza.
«Se lui riesce a stare fermo lì per un po’, allora ci riesco anch’io».
Quello alto, vedendosi rubare la scena, balzò di nuovo dentro il cerchio e se ne stettero entrambi lì impalati come stoccafissi, finché il pubblico cominciò gradualmente a perdere interesse e su questo tratto di strada rimasero soltanto loro due e quello spostato. Quasi nello stesso istante si accorsero entrambi della possibilità di acciuffarsi. Quello basso si tirò indietro, saltò fuori dal cerchio e schizzò via come una scheggia, mentre quello alto abbandonò lo spostato e si lanciò all’inseguimento correndo più veloce che poteva: una falcata dopo l’altra i due si allontanarono tra le grida e gli schiamazzi.
Ancora una volta lo spostato fu lasciato a se stesso e a parte le mosche, che ad abbandonarlo non ci pensavano nemmeno, non c’era più nessuno che gli prestasse attenzione.
Quando scesi dall’autobus erano circa le quattro del pomeriggio. Tutti quelli che erano scesi assieme a me avevano visto lo spostato, ma nessuno aveva interesse a trattenersi e se non avessi dovuto aspettare la mia ragazza anch’io, come loro, me ne sarei andato. Il caso volle che il punto il cui lo spostato era morto fosse esattamente quello in cui solitamente ci ritrovavamo quando ci davamo appuntamento.
La mia ragazza ancora non si vedeva e, sebbene non fosse mai puntuale, un ritardo come quello era fuori dal normale. Io sono un uomo di parola, mantengo le promesse a qualunque costo e non mi sarei mai azzardato ad allontanarmi da lì nemmeno di un passo. Siccome lo spostato stava occupando il punto in cui solitamente mi fermavo ad aspettare, fui costretto a spostarmi di ben tre passi e mettermi accanto al muro di cinta a fissare quel tizio. In realtà non stavo affatto osservando lo spostato, ero solo intento a guardare il punto in cui di solito mi incontravo con la mia ragazza. Tuttavia, non potevo fare a meno di guardare anche lui e per di più il tempo sembrava non passare mai. Gli si vedeva un pezzo di gamba e si può dire che fosse muscolosa, coperta di una peluria piuttosto folta, non aveva nulla da invidiare al mio polpaccio. Le mosche ci atterravano sopra e da lì di nuovo decollavano come aeroplani, avvolte in un ronzio a tratti assordante. Di diverso avevamo che, mentre la sua carnagione era grigiastra, la mia era ancora bianca e rossa: c’era da esserne grati. E poi mi accorsi di quella quiete piuttosto insolita, come mai non c’era nessuno oltre a me che guardasse sbigottito quello strano individuo?
Succedeva spesso che a quell’angolo di strada a me così familiare si radunassero folle di spettatori improvvisati che destavano l’attenzione generale. Ho come l’impressione che non a caso io e la mia ragazza abbiamo scelto questo come il nostro eterno punto di ritrovo. La folla che si azzuffa, che bisticcia, i poliziotti che acciuffano i ladruncoli… questo è il nostro spettacolo quotidiano, che mantiene il nostro amore forte e pieno di vitalità, e non credo proprio di stare esagerando. Ricordo che una sera un uomo fu colpito alla testa da un mattone e il sangue gli colava attraverso i capelli, senza sosta, definendo un gran numero di rivoli, ma non si riusciva a individuare la ferita. La mia ragazza ne rimase profondamente impressionata. Quella notte facemmo l’amore divinamente, con un ardore mai visto, e dire che prima di quell’episodio eravamo stati sul punto di separarci per sempre. La crudezza di quella scena salvò il nostro amore e sono convinto che quella sera l’aver visto il sangue con i propri occhi abbia fatto bene a molte altre persone.
Forse è perché quel tizio sta troppo fermo, non accenna alcun movimento, e anche la scena stessa è decisamente troppo statica. Lo spostato sembra non avere consistenza materiale, come se fosse soltanto un’immagine, un simbolo del quale nessuno capisce il significato né sente il bisogno di farlo. Nessuno mostra mai alcun tipo di interesse per questo genere di cose. L’uomo è un animale fatto di istinto e percezioni, ed è sempre meno incline all’analisi approfondita delle cose. Reagiamo solo alle azioni, ai movimenti, soltanto a ciò di cui possiamo fare esperienza concreta in quanto esseri viventi.
Proprio mentre ero perso in questo turbinio di pensieri, spuntò uno straniero, biondo e con gli occhi azzurri, che con un braccio cingeva le spalle di un’incantevole e graziosa ragazza cinese. I due si fermarono davanti allo spostato e non potei fare a meno di pensare che dopotutto era un occidentale, il loro Dio li osserva e di fronte a un poveraccio morto per strada non avrebbe certo potuto passare oltre e far finta di niente.
Drizzai le orecchie e cercai di ascoltare quello che si dicevano. Lo straniero farfugliò qualcosa, ma non capii una parola. La ragazza, invece, la capivo benissimo e stava spiegando allo straniero il significato della scritta sullo scatolone. La prima e l’ultima parola non sembravano creargli particolari problemi, ma sulla seconda, “spostato”, dovette spendere un po’ di fiato. Gli disse che la parola “spostato” in quel contesto non voleva dire spostare qualcosa da un luogo a un altro, non svolgeva la funzione di verbo. “Spostato” lì era un nome e significava disadattato, sbandato, uno con dei problemi. L’occidentale tutto soddisfatto fece un cenno col capo e si mise a saltare dalla gioia, esaltato per le nuove parole di mandarino che aveva appena imparato. Con un forte accento straniero ripeté: «Spostato, disadattato, spostato da lì a qui. Lo spostato è stato spostato qui, qui è stato spostato uno spostato».
La ragazza applaudì elogiando le sue capacità deduttive, poi i due si abbracciarono stretti davanti al morto e si baciarono con passione, tanto che potevo percepire il rumore delle loro lingue che si intrecciavano. Quando le loro labbra si staccarono, di nuovo esclamarono in coro: «Lo spostato è stato spostato qui! Lo spostato è stato spostato qui!».
Poi, senza smettere di fare chiasso, la coppia si allontanò tutta contenta.
«A proposito di spostati...» disse la vecchia dei bagni che aveva seguito tutta la scenetta e fu a quel punto che mi accorsi che non ero l’unico che stava prestando attenzione a quei due.
Ero rimasto intento a fissare la loro figura che scompariva all’orizzonte così a lungo da ritrovarmi imbambolato. «Ehi, spostato!» Improvvisamente fui colpito con una borsetta, alzai di colpo lo sguardo e vidi che si trattava della mia ragazza. Era arrivata dalla stessa direzione verso cui stava andando quello straniero (ovvero quella che stavo fissando) e aveva camminato verso di me per tutto il tempo fino ad arrivarmi davanti alla faccia, eppure io non mi ero accorto di nulla.
«Che ti guardi? Non è che quello straniero aveva una gran bella ragazza?» disse lei piena di gioia.
Non aveva per niente fatto caso allo spostato che stava sotto lo scatolone. Non lo aveva visto perché era intenta a guardare me, proprio come io stavo guardando lo straniero e la sua ragazza, e non mi ero accorto della presenza della mia. È un problema di orientamento dell’attenzione. Un po’ rammaricato sorrisi, e subito dopo attaccai a lamentarmi: «Com’è che sei arrivata così tardi?». Sapevo che avrebbe potuto dire: «Alle donne è sempre concesso di arrivare il ritardo» e disgraziatamente rispose proprio come avevo previsto. Poi volle persino aggiungere un’ulteriore spiegazione alla ragione del suo ritardo: «Non ho potuto fare a meno di cambiarmi il vestito e poi ho dovuto mettere un velo di trucco, altrimenti come potevo essere all’altezza di questi meravigliosi ciliegi in fiore?»
Ascoltando le sue parole mi tornò alla mente il motivo per cui quel giorno ci eravamo dati appuntamento: scattare una fotografia. Da alcuni giorni le chiome dei ciliegi erano piene di fiori, chiunque amasse le cose belle veniva qui a scattare qualche foto e per di più questo era il nostro solito punto di ritrovo per gli appuntamenti! Facevamo le foto ai ciliegi tutti gli anni, a dir poco da sette, otto anni. Il fiore di ciliegio è il fiore simbolo del nostro amore, nel nostro album di fotografie se ne vedono di sempre di più, fioritura dopo fioritura, e i ciliegi appaiono sempre più maestosi, anno dopo anno, ma in realtà bisogna saper cogliere le occasioni, non se ne vedono mica tutti i giorni. Una volta l’anno, per giunta per pochissimo tempo, da un giorno all’altro fioriscono tutti insieme, dopodiché appassiscono e cadono quasi altrettanto rapidamente. Soltanto due o tre giorni in tutto, per questo sono ancora più preziosi. E poi, non si trovano dappertutto. Tutti i ciliegi della città si concentrano in questa strada. Saranno al massimo una trentina, hanno attraversato l’oceano e sono arrivati qui dal Giappone, perciò anche la loro storia è molto breve, direi non più di dieci anni in tutto. In questo senso il fiore di ciliegio non è soltanto bello ma, con quel suo tocco esotico, è anche il fiore del momento. Lo trovo così particolare, una foto accanto a dei fiori di ciliegio è tutta un’altra cosa rispetto a una in cui compaiono fiori di pesco o di susino ed è un bene che un sempre maggior numero di persone lo conosca in maniera approfondita, così non ci sentiremo più gli unici. Adesso, durante il periodo di fioritura dei ciliegi, tutti i giorni ci sono settanta, ottanta persone sotto ogni albero che bazzicano attorno al tronco, scattano fotografie e fanno un apprezzamento dopo l’altro. Senza esagerare neanche un po’ posso dire che osservare i fiori di ciliegio è già diventato uno dei nuovi passatempi maggiormente in voga in città.
Stringendo la macchina fotografica con una mano e afferrando quella della mia ragazza con l’altra, mi diressi verso i ciliegi colmi di fiori candidi. Dal momento che il sole era già quasi sul punto di tramontare, non avevamo molto tempo e perciò avremmo dovuto sbrigarci a fare i nostri scatti. Fu attraverso l’obiettivo che vidi la rara bellezza che il mondo mi stava offrendo, come avevo fatto a non accorgermi minimamente di una cosa tanto palese, con tutto il tempo che avevo passato a lato della strada ad aspettarla? È l’amore che parla. Per me non hanno alcuna importanza i fiori di ciliegio, è la mia donna il solo splendore che imprigiona il mio sguardo. Anche se pieno di ciliegi in fiore, un mondo senza di lei sarebbe un mondo freddo e privo di emozioni. Soltanto la sua presenza è in grado di esaltare al meglio la bellezza di quei fiori e, insieme, possono dar vita a un vero e proprio tripudio di luce e colori.
Quando mi resi conto di quanto ancora fossi innamorato di lei, mi accorsi anche che in quel preciso istante i miei occhi avevano iniziato a inumidirsi. Dovevo tenere aperto l’occhio destro, così da poter catturare al meglio la bellezza del paesaggio, perciò le mie lacrime di commozione poterono sgorgare soltanto attraverso le palpebre chiuse dell’occhio sinistro. L’occasione di rivalutare e comprendere appieno il nostro amore che l’appuntamento di quell’anno mi offrì fu di vitale importanza, indispensabile, e preservò il nostro legame per l’intero anno successivo.
Stavo radunando tutte le mie energie, mi stavo tenendo pronto. In un batter d’occhio scattai la fotografia e tutto mi apparve chiaro, ma nello stesso tempo non dimenticai di rimproverare a me stesso i pensieri cupi di poco prima.
Attraverso l’obiettivo scorsi di nuovo lo spostato, anche lui era di una bellezza straordinaria. Ad esempio, guardando la sua gamba scoperta, poco prima avevo notato soltanto le mosche, ora invece vedevo i petali dei fiori che fluttuavano nell’aria e vi si posavano sopra. Chiaramente dovevo stare attento a far sì che la mia ragazza non si girasse, per evitare che vedesse i petali. Sebbene fossero anch’essi molto belli, comunque non lo erano tanto quanto i fiori sui rami e temevo che lei, molto sensibile, si sarebbe dispiaciuta nel vedere che sfiorivano.
Il pomeriggio seguente la mia ragazza corse da me su tutte le furie e, gettando sul tavolo le stampe delle fotografie, gridò: «Guarda qui! Guarda! Un fallimento totale!». Su tutte quante le trentasei foto, nessuna esclusa, comparivano lei, i fiori di ciliegio e quelle tre inquietanti parole: ATTENZIONE SPOSTATO MORTO. «Si può sapere come hai fatto? Perché cavolo hai preso anche quello scatolone?». Fortunatamente non si preoccupò di sapere che cosa c’era sotto il cartone.
Risposi che non lo avevo assolutamente fatto apposta, e acconsentii a tornare sul posto l’indomani per un secondo tentativo. «Questa volta ti assicuro che non ci sarà nessuno scatolone» le dissi.
Il giorno seguente andammo di nuovo a fare le foto ai ciliegi in fiore. Come avevo immaginato, del cartone e dello spostato non c’era più alcuna traccia, ma non c’erano più neanche i fiori di ciliegio. Nel giro di una notte erano appassiti ed erano caduti tutti, restavano soltanto i rami lucidi e qualche fogliolina.
[Prima pubblicazione: 1996]
Tradotto da
Martina Codeluppi, 14 Marzo 2014
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