Impressioni sulla “mamma tigre”


2011 Mar
03

Impressioni sulla “mamma tigre”
虎妈给我的启发 di Song Yan ( 宋燕 )


Battle Hymn of the tiger mother è il titolo dell’ultimo libro di Amy Chua, una madre cinese cresciuta negli Stati Uniti e attualmente insegna legge a Yale. Paladina di un’educazione orientata al successo, Amy Chua  ha suscitato scalpore con le sue rigide teorie educative. Anche il web cinese ha registrato le più disparate reazioni. Song Yan parte dal successo del libro per affrontare il problema più ampio delle ‘epidemie sociali’. Non si tratta solo dell’ennesima ripetizione di stereotipi sul modello educativo cinese. Se si allarga il campo visivo, nel dibattito instauratosi attorno all’argomento si trova lo spazio per analizzare valori e modelli nuovi.

Non voglio approfittare del recente successo de L'inno di battaglia della mamma tigre (pubblicato in Cina col titolo Essere madre in America) per discutere di educazione dei figli. Dagli Stati Uniti alla Cina, questa questione è stata già sufficientemente affrontata e non vedo la necessità di continuare a parlare di un argomento già ampiamente trattato da psicologi e pedagoghi che arrivano - oltretutto - alle stesse conclusioni. Il tema e la comparsa della mamma tigre mi portano a prendere in considerazione altre questioni.

1 - La ‘malattia del successo’ non è un morbo solo dell’attuale società cinese.
Ho sempre pensato che la sete di successo e di denaro, la brama di emergere, fossero la manifestazione della perdita di valori, una malattia dovuta al progresso cinese.

La mamma tigre non vive e non ha mai vissuto in Cina, quando parla di ambizione e smania di successo non fa altro che esprimere i sentimenti personali legati alla sua famiglia. Questo non ha niente a che vedere con la Cina attuale, è quello che lei ritiene essere la ‘cultura cinese’.  Stando alle sue affermazioni, questa sete di successo non è un’invenzione moderna, ma rappresenterebbe un valore ereditato dalla cultura confuciana.

2 - Rappresentare non è il risultato di un’ideologia.
«In qualità di rappresentante del popolo, in qualità di rappresentante del partito, ti condanno a morte!» Tanto siamo cresciuti ascoltando questo genere di frasi nei film che sono diventate un modo di pensare. Non avendo mai vissuto in Cina, la mamma tigre non ha ricevuto l’educazione ideologica cinese; eppure ritiene di rappresentare tutte le mamme cinesi con tanta naturalezza. Dalla prima all’ultima pagina, esprime la sua idea e i suoi pregiudizi sull’educazione infantile autoconferendosi il titolo ufficiale di mamma cinese, come affermando che tutte le mamme cinesi agiscono così. In realtà l’opinione di molte madri cinesi è diversa dalla sua, ma dubito che una donna che è venuta in Cina solo qualche volta per turismo possa conoscere molte madri cinesi e che possa ritenere di avere le qualifiche per rappresentarle. È evidente che la questione non riguarda l'aver visto o no quel genere di film. Anche il vizio di ergersi a rappresentare è un’eredità culturale, non è frutto di un’epoca.

3 - La Cina comincia a esportare valori
Alcuni anni fa un noto personaggio pubblico denunciava che «finché la Cina non comincerà a esportare valori, non potrà diventare un grande paese». Molti presero queste parole come una provocazione. Sono passati pochi anni, ma i tempi sono cambiati. Le grandi nazioni che da sempre hanno esportato valori, ora attraversano una crisi economica. L’economia cinese, invece, sta vivendo un grande sviluppo che la fa apparire addirittura come la salvatrice dell’universo. Pochi anni fa,  il tema della mamma tigre non avrebbe provocato una reazione così forte. Il fatto è che oggi, dietro di lei, si erge un corpo sociale di successo – o che sembra di successo -  e  i valori a cui aderisce questo corpo sociale sembrano soffocare una grande nazione. È proprio questo che spaventa.

La comparsa della mamma tigre non è casuale. Alcuni giorni fa leggevo un libro che arrivava alle stesse conclusioni partendo da presupposti diversi. Si intitola Solo il socialismo può salvare l’America.

(10 febbraio 2011)

Tradotto da Lucia De Carlo, 03 Marzo 2011
 



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