Cento anni della rivoluzione Xinhai



Rivoluzione, [dal lat. tardo revolutio-onis «rivolgimento, ritorno», der. di revolvĕre: v. rivolgere]. In senso stretto, il processo rapido, e per lo più violento, attraverso il quale ceti, classi o gruppi sociali [...] sovvertono tali istituzioni al fine di modificarle profondamente e di stabilire un nuovo ordinamento. (Treccani)


革命, Geming, nel cinese antico indica il momento di caduta e cambio [革, ge] della dinastia, ovvero il momento in cui veniva meno il mandato celeste [命, ming] che legittimava il potere dell'imperatore. La Geming perciò avveniva per riattribuire il mandato celeste al legittimo imperatore, figlio del cielo. Nel cinese moderno indica il processo che porta a un grande cambiamento, sociale, intellettuale o naturale, usato per rendere il concetto di rivoluzione.


La prima rivoluzione cinese invece, non è stata nulla di ciò: non è stata una lotta armata, non è stata il cambiamento dell'ordine costituito. Forse è stata rivoluzione nel senso più originale del termine, ovvero «ritorno». Ce lo racconta Fu Guoyong nel quarto post che traduciamo dal suo blog. E ci regala un'analisi sicuramente particolare di quanto successo nel 1911 in Cina con un'ironia che batte proprio sugli angoli ben affilati nei discorsi dei leader: quello cinese è un popolo che non ha paura, è un popolo forte che tutto può, è un popolo che si gode il viaggio e non guarda certo solo al punto di arrivo... ma oggi la democrazia è ancora incompiuta e i cittadini devono continuare la lotta.


Questo post è stato pubblicato il 10 ottobre 2011.




Cento anni della rivoluzione Xinhai.


La democrazia è ancora imperfetta, i cittadini devono ancora lottare.



A cento anni dalla rivoluzione Xinhai, le commemorazioni ufficiali sono state solenni: pare che non riusciamo a scostarci dall'ideologia irremovibile; com'è impossibile sfuggire ai vecchi cliché. Dopo tutto, la Xinhai di un centinaio di anni fa è solo un altro bene di consumo [nel mercato] dei diritti oggi esistenti.
Quale altro evitabile destino - già eroso dai diritti - rimane per quest'epoca che tutto consuma?


Un secolo fa, in Cina, fu fondata la prima Repubblica asiatica: lo strano sistema repubblicano cadde dal cielo quasi nel giro di una notte e, in un secolo, questo pezzo di terra l'ha consumato. Ma come? I primi quindici anni ci hanno pensato i signori della guerra e subito dopo, nei ventidue anni di governo mono-partitico, il Partito Nazionalista (Kuomintang) ha fatto la sua parte: ancor più efficienti sono stati i sessantadue anni della forma [di governo] attuale di cui stiamo facendo tutti esperienza. [...] Così, la storia di questi ultimi cento anni ha consumato gli ideali democratici che i nostri avi avevano cominciato a coltivare.

Il nostro percorso formativo per diventare cittadini di una società democratica non è ancora completo anche perché non si può gioire dei frutti avuti troppo facilmente. Al contrario, solo quando si lotta per qualcosa le si può dare valore, curarla e difenderla anche con la vita. Dobbiamo ancora avere pazienza, non sono come singoli, ma come nazione, come popolo. Il popolo cinese sa cosa vuol dire soffrire: abbiamo sostenuto il peso di cinque millenni, abbiamo sostenuto il peso di un secolo e quello degli ultimi sessantadue anni. Di cosa dovremmo aver paura? Non ne abbiamo di paura. Per noi, forse, l'importante non è l'arrivo ma il viaggio, così come il momento migliore non sarà certo quello in cui realizzeremo e godremo del frutto della libertà democratica, bensì tutto l'intero processo che ci porterà ad ottenere quel frutto.

Qualche tempo fa, un amico online mi ha chiesto: « Se il fallimento della rivoluzione Xinhai fu dovuto ad una élite intellettuale inaffidabile, quella di oggi ha la capacità e l'esperienza necessaria [per realizzare la rivoluzione] ?». Per me […] interpretare la questione in questo modo, equivale ad una semplificazione della storia, di per sé molto complessa.
Parlando dell'élite di oggi, prima di chiederci se questa abbia o meno la capacità di guidare un nuovo ciclo di trasformazioni sociali o se sia o meno in grado di portare a termine la mai conclusa trasformazione cominciata cento anni fa, dovremmo capire di chi stiamo parlando. Chi sono i nuovi intellettuali in Cina? Su questo concetto persistono molte divergenze e fraintendimenti, ma se non chiariamo prima questo punto, non possiamo rispondere alle altre domande. Normalmente chi ha una posizione sociale alta, un elevato livello di studi o di soldi e di fama, è eleggibile per far parte dell'élite; questo equivale a limitare e banalizzare il concetto. Penso che faccia parte dell'élite colui che possiede una notevole educazione e che allo stesso tempo sia disposto ad essere responsabile nei confronti della società, che possiede capacità di azione e pensiero indipendenti. […]
In rete ci sono tantissime [persone] così: redattori, professori, scrittori, avvocati, giornalisti, ma anche cuochi, autisti e operai. […] Tutti potrebbero esserlo, ma la parola chiave è responsabilità, verso la società, verso il futuro e  la capacità di assumersi tale responsabilità. Quelli che hanno tale capacità sono l'élite. […]  Oggi, sono forse decine di milioni in tutta la Cina, credo, queste élite con capacità ed esperienza, pienamente in grado di assumere la pesante responsabilità di cambiamento di questi tempi.

Ho sempre creduto nell'idea di una transizione pacifica, che però necessita di alcuni presupposti a livello sociale, tre le quali l'emergenza di una élite responsabile. […]
Cento anni fa, quando la dinastia Qing fu sostituita dalla nuova repubblica, non vi sono state battaglie su larga scala, così la nazione non ha pagato il prezzo della brutalità, anzi la scossa del cambiamento del regime politico è stata relativamente piccola e moderata.
Al tempo, i personaggi al centro di tale cambiamento hanno saputo trovare un modello nuovo per risolvere la grave crisi politica: quello del dialogo e del compromesso […]. Sia l'imperatrice vedova [Cixi, ndt] che Sun Yatsen sono stati passivi e spinti dalla logica della realtà e della storia. Però il compromesso raggiunto passivamente ha permesso al grande impero Qing di cedere e accettare pacificamente le nuove disposizioni delle istituzioni repubblicane.
[…] Credo che la passività sia spesso un atteggiamento normale; è l'attività infatti che genera gli imprevisti della storia. Chiang Ching-kuo [figlio del primo presidente della Repubblica di Cina a Taiwan, Chiang Kai-shek, ndt] è stato attivo nel consegnare il potere del Partito Nazionalista e a fare di Taiwan una società democratica. […] Nella passività non c'è nulla di male, anzi dobbiamo ringraziare tutti gli attori che hanno fatto il compromesso, visto che la loro passività è diventata attiva nel momento in cui nella storia cinese c'è stato un piccolo progresso.
Tornando indietro alla Cina di cento anni fa, se vogliamo davvero guardare in faccia alla storia, non possiamo certo credere ai libri scolastici o alle teorie sempliciste che ci propinano da tempo i mass-media, ma dovremmo tornare all'inizio e cercavi il punto di partenza di questa Cina centenaria. […] La verità è la linfa della storia e nella storia dobbiamo cercare il nostro futuro […]. La storia cinese non è stata fatta solo dell'élite, ma da tutti i cinesi. Solo se abbiamo capacità di giudicare e di pensare in modo indipendente possiamo costituire una nuova epoca che appartiene a tutti. […]





Tradotto da Tania Di Muzio, 09 Novembre 2011