Sinologie: Xiao Ran


2013 Nov
29

Sinologie: Xiao Ran
小染 di Zhang Yueran ( 张悦然 )


Il racconto "Xiao Ran" ci porta nell'universo visionario dell'autrice, un mondo allucinato in cui gli oggetti e il mondo circostante si caricano di valore emotivo e proiezioni del suo immaginario più intimo. Il racconto, in traduzione inedita in italiano, è stato presentato nella tesi di laurea "Il senso tragico e l’immaginario di Zhang Yueran".

1.

Uomo, perché ancora non dormi? Osservo stando seduta vicino alla finestra. Al rintocco di ogni ora, guardo il pendolo e mi sembra uno stetoscopio luccicante che si allunga fino a raggiungermi, come se volesse rubare il mio cuore. Quello specchietto luccicante riflette il mio viso rivolto verso il basso. Le mie labbra sono così pallide. Sul davanzale della finestra ci sono i narcisi che coltivo, mi prendo cura di loro ogni giorno. L’innaffiatoio ha delle decorazioni, con quel collo e quel braccio lunghissimi assomiglia a una donna di colore. Quando riempio il suo stomaco d’acqua riesco a sentire il gemito di questa donna. Da giorni e giorni, sempre verso mezzogiorno, afferro questa donna per il braccio e mi prendo cura dei miei fiori. Sul balcone ci sono sei narcisi. Spesso uso le forbici per innestare le radici dei narcisi. Scavo, scavo ancora. Emerge della linfa bianca, emerge la loro carne fresca. Continuando a premere leggermente con le forbici, il succo fuoriesce e cola lentamente, schizzandomi la mano. Queste forbici devono essere di ferro di ottima fattura, sono così fredde. Le ho continuamente tra le mani, eppure anche dopo aver assorbito tutta la mia forza vitale sono ancora gelide. Alla fine metto insieme le piccole radici squamose che ho reciso. Sono familiari come bucce di patate, leggere come ali di cavalletta. Soffio delicatamente su di loro, poi le metto una di fianco all’altra, vengono seccate sotto la luce arida del sole invernale e io mi ritrovo con le mani impregnate dell’odore di piante.

2.

In inverno Xiao Ran comprava ogni giorno sei narcisi e li disponeva uno accanto all’altro sul davanzale della finestra. Usava delle forbici scintillanti e lucenti per ucciderli. Lasciava a essiccare dei bastoncini vegetali aromatici sotto la luce del sole, sul balcone, dopodiché impugnava le forbici e le faceva ruotare nel vento, sognando a occhi aperti. Xiao Ran osservò l’uomo che era nella stanza. Indossava un cardigan color cammello e pantaloni di velluto. Quell’inverno gli piaceva bere il caffè preparato con la moka, fatto con così tanta polvere di caffè da lasciare la bocca tutta unta e zuccherosa. Aveva una sedia a sdraio, passava la maggior parte del tempo standoci seduto. Leggeva il giornale e fumava, oppure dipingeva. Ci passava sempre un sacco di tempo, lì sopra. Arrivava persino a rasarsi la barba, quando era troppo lunga, standosene seduto sulla sdraio. Se si tagliava il mento, rimaneva seduto sulla sedia a sdraio in attesa che si rimarginasse la ferita. Talvolta, quando la ragazza portava i narcisi, l’uomo le diceva di sedersi. Le parole dell’uomo, come la prima e gelida nevicata invernale, riuscivano a poco a poco a fare presa e ad avvolgerla saldamente. Xiao Ran si rimboccava per bene le maniche del maglione, prendeva uno sgabello e si sedeva. Trovava che fosse particolarmente scomodo, ma malgrado tutto vi si sedeva, rimaneva immobile e l’uomo cominciava a dipingere. Xiao Ran pensava a se stessa come a un ostacolo imbarazzante, stando nel mezzo di quella stanza vedeva il tempo attraversare il suo corpo e continuare ad andare avanti e scorrere fluidamente. Lei era sempre un’arma inattesa in quel morbido inverno.

3.

Quell’uomo era un pittore ed era anche suo padre, oltre che un bastardo: picchiava una donna. L’ultima volta quella donna si era presentata sulla porta con delle ferite putrescenti, mentre gli occhi posavano con fermezza il loro sguardo su Xiao Ran, senza voltare la testa per chiudere la porta. Xiao Ran guardava la porta avendo la sensazione che fosse una scatola magica, che richiudeva completamente la neve e il vento di stagione. Xiao Ran vide la donna allontanarsi rapidamente come il vento. Sulla porta era rimasto appiccicato un capello della donna. Xiao Ran si avvicinò e raccolse quell’insignificante capello nero. L’inverno era particolarmente freddo. Subito dopo infilò la mano e il capello in fondo alla manica del maglione.
Xiao Ran non riusciva a ricordare quante guerre furiose ci fossero state. Si ricordava soltanto in quante case aveva traslocato, ognuna con un tetto in legno traballante e sgangherato. A ogni guerra lei si ritrovava in una stanza sempre più oscura, mentre le scale, le pareti e i soffitti scricchiolavano incessantemente. La donna piangeva come un agnello che gira in tondo, tenuta legata per il collo da Xiao Ran. Xiao Ran si avvicinò al letto particolarmente timorosa, usando un tagliaunghie per raschiare a poco a poco la vernice dal legno. Al termine di ogni guerra, la donna non aveva neanche le forze per stare seduta in mezzo alla stanza. Quando Xiao Ran trascorreva del tempo con lei, la donna la osservava con uno sguardo pieno di odio e di ostilità, dopodiché cominciava a insultare l’uomo ringhiando e ululando come una lupa spodestata con forza dalla sua grotta.
Xiao Ran andò sul balcone e osservò i petali vibrare e cadere al suolo, mentre cominciava di nuovo a piovere. Anche oggi ci sarebbe stato un acceso diverbio. Attraverso la fessura della porta di legno, Xiao Ran intravide la donna sanguinare in volto. Voleva entrare. Odiava il pianto di quella donna, ma nonostante ciò la salvò, chiudendo la porta. L’uomo la riaprì, poi con estrema rapidità la trascinò dentro e con altrettanta rapidità richiuse la porta. L’uomo spinse Xiao Ran verso quest’ultima, vicino alla quale erano poggiati la sua borsa in pelle nera e il suo ombrello dal manico lungo. Era da tanto che l’uomo non viaggiava. Con una mano teneva Xiao Ran, mentre con l’altra aprì la borsa. In un triste e grigio bagliore, Xiao Ran lo vide estrarre una bambola di pezza. Era una bambola bellissima. Indossava una gonna che Xiao Ran aveva sempre desiderato: era dello stesso colore di una rosa rugosa e presentava dei motivi in rilievo. Xiao Ran osservò il bordo in pizzo morbidamente attaccato alle gambe della bambola, una bambola che rideva solleticandola. L’uomo le disse di andare a giocare, poi mise la bambola tra le braccia di Xiao Ran e la buttò fuori di casa prendendola per il collo. Chiuse a chiave, mentre Xiao Ran e la bambola si ritrovarono fuori. Il freddo era tale da aver congelato il pupazzo di neve. Xiao Ran scivolò più volte sulla neve accumulatasi di fronte alla porta, rialzandosi a ogni caduta. Quello era il giorno del suo compleanno, avrebbero dovuto trasformare quella giornata in un compleanno da sogno. Xiao Ran pensava che avrebbe dovuto amare almeno un po’ suo padre, del resto era meglio di sua madre, dal momento che si era ricordato del suo compleanno.
Sentì delle urla e dei pianti ancor più violenti provenire dalla casa, eppure si sentiva congelata come il pupazzo di neve, incollata nel mezzo del cortile. Bambolina, sarebbe meglio se restassimo qui buone buone a festeggiare il compleanno, non sei d’accordo? Xiao Ran ammonticchiò della neve e vi si sedette assieme alla bambola. Rimase a fissarla, osservando le sue codine giallo paglierino perfettamente acconciate, mentre i suoi capelli, come erba, affondavano le radici nel collo del maglione. Xiao Ran emise un sospiro. Sei così carina, bambolina.
Quando si rese conto che la porta era stata aperta era già sera. Si rialzò molto lentamente e la neve rotolò giù dal corpo con molta fatica, l’unica cosa calda era la sua bambola. Mentre Xiao Ran camminava si accorse di avere le scarpe rotte e che i suoi piedi erano talmente gonfi da essersi fatti tondi. Entrò in casa barcollando e trovò sua madre sull’entrata, con il sangue coagulatosi in volto. La donna la fissò con attenzione, poi improvvisamente allungò una mano insanguinata verso il volto di Xiao Ran e le mollò uno schiaffo. Ti è forse bastata una bambola per lasciarti corrompere? I piedi di Xiao Ran, gonfi come due misirizzi, oscillarono diverse volte in tondo, fino a condurla lentamente a terra. Il suo naso sbatté contro il gradino della porta ed ebbe paura che potesse diventare talmente fragile da rotolare a terra come il naso del pupazzo di neve. Va bene, va bene, non è niente di più di un naso che sanguina. Xiao Ran rivolse il viso verso l’alto, mentre una mano lo sollevava afferrandola per il mento e facendole colare del sangue. Vide la donna tornare in camera per prendere una borsetta e precipitarsi fuori dalla porta. Nel momento in cui le passò accanto, la vide rivolgerle uno sguardo sprezzante. Quella fu l’ultima volta in cui lei e la sua cara mamma si scambiarono uno sguardo, dopodiché la donna se ne andò lontano, come il vento. Xiao Ran andò alla porta e raccolse i capelli di sua madre; non aveva una scatola adatta per conservarli, così, alla fine, mise i capelli in una tasca della gonna della bambola.
Dopo tanti anni, erano sempre Xiao Ran la bambola e l’uomo, insieme. L’uomo non aveva mai avuto un diverbio con Xiao Ran, perché Xiao Ran era molto obbediente. Quando Xiao Ran aveva dieci anni era una bambina molto tranquilla, e insieme si ritrovarono a traslocare, a cucinare e a prendersi cura delle piante. L’uomo era un pittore, gli piaceva chiedere a Xiao Ran di mettersi in posa per ritrarla, così Xiao Ran si sedeva molto placidamente e lasciava che lui dipingesse. Durante le pause l’uomo si accendeva una sigaretta e con molta flemma le diceva di amarla molto di più di quanto avesse amato sua madre. Tu sei così tranquilla. Poi improvvisamente abbracciava Xiao Ran e diceva con fermezza che lei sarebbe rimasta per sempre al suo fianco. Xiao Ran pensava che avrebbe dovuto essergli grata, era l’unica persona al mondo a prendersi cura di lei. In tutti quegli anni c’era stato solo quel compleanno, in cui Xiao Ran aveva ricevuto un regalo: quella bambola, assieme ai capelli di sua madre.

4.

Quando ci siamo trasferiti qui l’uomo mi ha detto di voler ritrarre l’inverno rigido di questo villaggio. Poi in realtà, quando l’inverno è arrivato, è andato in letargo come un animale. Si distende sulla sua sedia a sdraio e non esce. Io abito in un attico al secondo piano e coltivo sei narcisi. L’uomo mi ha detto che posso coltivare dei fiori, però non troppi, un odore troppo intenso di fiori gli dà mal di testa. Nella parte est della città c’è il mercato dei fiori, mi basta attraversare un incrocio per arrivarci. Stamattina, quando sono andata a comprare i narcisi, c’era una nebbia fittissima. Ne ho comprati sei in piena fioritura. In una mano portavo i fiori, mentre nella borsa appesa al polso portavo quattro patate simili a tuberi. Sono tornata a casa barcollando, con una sciarpa ben stretta al collo. L’acqua delle radici dei narcisi mi è schizzata sulla mano, lasciandomi una sensazione piacevolmente fresca. Questo inverno tedioso mi ha un po’ irritata.
Mi si è avvicinato un gruppo di ragazzi, dei ragazzi che sembravano sbucare da ogni dove. Portavano dei profumi insoliti e ognuno di essi si imponeva sull’aria con un odore unico e distinto. Ho provato un lieve senso di asfissia. C’era chi portava uno skateboard, chi fumava una sigaretta e chi sputava a terra un chewing gum al mirtillo, grosso quanto un fungo. I capelli viola e biondi sventolavano sulle loro teste come bandiere. Giacche da sci con grosse zip, scarpe con i lacci allentati e sciolti. Attraverso uno spiraglio creatosi tra i narcisi ho intravisto un ragazzo antistante il resto del gruppo. I suoi capelli che sembravano bruciare come un vulcano, la giacca bordeaux, il suono delle monete che urtavano contro l’accendino all’interno della tasca rotta di pelle e lana. Ho notato che aveva lo sguardo rivolto altrove, che la mia spalla ha sfiorato la sua fino a toccarla, lambendolo poi con i fiori. I fiori hanno cominciato a tremare e a scuotersi finché non sono traboccati dal vaso, cadendo a terra. Sono morti sulla neve residua, come il tè che ieri è schizzato in un baleno vicino alla soglia. Il gruppo di ragazzi è scoppiato a ridere, quei ragazzi perfidi con indosso profumi diversi gli uni dagli altri. Ho rivolto ancora una volta l’attenzione verso i miei fiori prediletti e mi sono accovacciata per raccoglierli. Non potevo lamentarmi, dato che la notte sicuramente sarebbero morti tra le mie forbici, era però troppo presto per farli sfiorire, benché si trattasse di una morte incompleta. Li ho raccolti e il ragazzo si è accovacciato per aiutarmi. Ci siamo rialzati insieme e mi sono accorta che portava con sé una fragranza floreale molto piacevole. Mi ha sorriso. Ho di nuovo guardato quel ragazzo, attraverso i narcisi, era molto attraente, bello come il pupazzo di un marinaio venuto da un transatlantico. Era in piedi sulla neve, di fronte a me. Ho pensato dovessi andarmene così, era già da un po’ che ero in piedi e non avevo ricevuto le loro scuse, per cui ho pensato fosse ora di andar via.
Nel momento in cui ho guardato il ragazzo, mi stava fissando anche lui. Aveva uno sguardo molto serio e attento, come se fosse stato un dottore che ha tra le mani un animale su cui condurre delle ricerche. Mi sono chiesta se il suo sguardo fosse sinistro o semplicemente vacuo, ma non saprei darmi una risposta con certezza neanche adesso. Il sole serrava il suo sguardo e al tempo stesso mi illuminava, tanto da aver avuto improvvisamente la sensazione di essere su un palcoscenico e di dover recitare da un momento all’altro. Ho mostrato un’espressione compassionevole per riuscire a suscitare rammarico. Il ragazzo mi guardava ancora. Avrei voluto chiedergli se era un pittore, perché uno sguardo del genere l’ho visto solo su mio padre. Quel ragazzo era alla mia sinistra, era alla mia destra, era il mio instancabile palcoscenico. Alla fine mi ha parlato e quella è stata l’unica volta: peccato per quelle labbra così pallide, altrimenti saresti un vero schianto. Il suo tono di voce era distratto, eppure ogni volta che ci ripenso questa frase mi sembra rivelare una sorta di entusiasmo. Tutti gli altri ragazzi si sono messi a ridere, quasi stessero applaudendo al finale di una commedia. Io mi sono ritrovata al centro del palcoscenico, in preda al dubbio. Ehi, conosci quel bar in fondo alla strada? È al secondo piano e ha una pista da ballo circolare, questa sera diamo un party lì, vieni anche tu. Oh, e ricordati di metterti il rossetto, bellezza. Il ragazzo mi parlava sollevando la testa e alzando lo sguardo. Gli altri ragazzi hanno riso di nuovo. Avevano l’abitudine di emularlo, lui era un’abbagliante lampada al magnesio al centro del palcoscenico.
Mentre andavano via, io e i miei fiori ce ne stavamo ancora lì a guardarli. Ho visto i ragazzi rimettersi in ordine guidati dal suo sguardo, mentre tutte le luci di scena si andavano spegnendo. E io ero ancora là. I narcisi gocciolavano ancora e io mi sono morsa inconsciamente il labbro, inumidendolo. Subito dopo sono corsa verso casa. Strada facendo mi sono fermata improvvisamente di fronte all’entrata ben illuminata di un negozio, su cui ondeggiava una fila di vestitini sgargianti. Sono rimasta lì per un bel po’ e ho comprato una gonna. Una gonna dello stesso violetto di una rosa rugosa. L’avevo vista fluttuare nel vento, nella città avvolta dai primi chiarori del mattino, tinti di grigio e beige. La luce del sole si spargeva uniformemente sulla gonna, sembrava una tessitura fittissima fatta di piccole lamine lavorate a maglia sul broccato. Sembrava un grosso aquilone che facevo frusciare nel vento. Non ho mai sentito il bisogno di una gonna: non amo particolarmente le cose appariscenti, né tantomeno questi oggetti che hanno connotazioni decisamente femminili. Questa volta però, tenendo in mano i narcisi, non sono riuscita a trattenermi dal toccarla. Mi sono resa conto che è simile alla gonna che indossava la mia bambola. Le assomiglia terribilmente. Quella stessa gonna che per più di dieci anni mi ha reso gelosa. Come quella bambola, essa sventolava la bandiera che proclamava la vittoria, ricordando la mia sconfitta. Sì, non ho mai avuto in dono un regalo del genere, così bello e lusinghiero. L’ho comprata, ho comprato la mia prima gonna. L’ho afferrata con fierezza come se mi stessi vendicando di qualcosa, poi mi sono precipitata verso casa.

5.

Xiao Ran aprì rapidamente la porta e si precipitò nello studio. Buttò i narcisi e la gonna nuova di zecca vicino della porta, poi cominciò a rovistare tra i meandri dei colori, in cerca di qualcosa. Sul pavimento c’erano una pila di tubetti e barattoli. Alcuni erano già seccati, altri già mescolati, altri sporchi. Li raccolse a uno a uno per guardarli, ne buttava uno e poi ne raccoglieva un altro. L’uomo, seduto sulla sua sdraio, la sentì e le chiese cosa stesse cercando. Xiao Ran non rispose e continuò a cercare. Cominciò ad abbandonare i tubetti di colori e si rivolse verso quei vecchi barattoli di colori inutilizzabili. Si muoveva con la stessa agilità di uno scoiattolo, mentre la sua espressione era grave come quella di un generale a cui fosse stato ordinato di combattere. L’uomo chiese ancora cosa stesse cercando, senza ricevere ancora una risposta. Sentì la ragazza rovesciare i barattoli facendo un gran fracasso. C’era ancora il suono di colori che scorrevano confusamente. L’uomo si alzò dalla sdraio, si precipitò nello studio e chiese ancora cosa stesse cercando. Xiao Ran chiese con ansia del colore rosso, c’era ancora il rosso? No, rispose lentamente l’uomo, era da tanto che non usava colori vivaci, l’aveva forse dimenticato? Da quando si erano trasferiti le aveva chiesto di buttarli via, proseguì l’uomo, quindi ora non c’era, perché per dipingere quest’inverno terribile non aveva usato affatto il rosso. Xiao Ran non disse più niente, si limitò a terminare la sua vana ricerca, si rialzò con calma e si ritrovò incollata al pavimento, come una stupida. Sembrava una di quelle bambole meccaniche che saltano e ballano. Rimase a bocca aperta: i colori erano colati sulle gambe, scivolando lentamente sul corpo e rivestendolo di un fosco strato cianotico. L’uomo le chiese a cosa le servisse il colore rosso. A niente, disse Xiao Ran. Passò vicino all’uomo per raggiungere la cucina e preparare il caffè che a lui piaceva tanto.

6.

Gli ho dato il caffè, poi ho portato i narcisi che ho comprato in soffitta. La nebbia ormai non c’è più ed è uscito il sole, affisso come un annuncio che incita la gente a lavorare con vitalità. Ho messo i narcisi sul balcone, senza sapere quando si sarebbero dischiusi. Le forbici erano accanto alla mia mano, il loro luccicore argenteo mi tentava enormemente. D’un tratto ho affondato le forbici nei narcisi e la linfa delle radici è sgorgata, gorgogliante come i colori. Come al solito sono morti, non sono riuscita ad attendere la sera. Poi a poco a poco mi sono calmata. Ho portato lo sgabello sul balcone e mi ci si sono seduta. Mi è venuto in mente lo sguardo di poco prima, quello sguardo fisso e infinito come il vento e la neve. Mi sono venuti in mente i suoi capelli infuocati che si estendevano con negligenza, mentre le labbra sottili si serravano quando parlava, sembravano una farfalla impregnata di veleno.
Ho sentito la risata di un gruppo di ragazzi, un riso compiaciuto, un riso di apprezzamento. Loro, come gli astori che assalgono il cadavere durante la commemorazione del defunto, arrivano da qualche cielo lontano e mi raggiungono in volo coprendomi, soffocandomi. D’un tratto ho cominciato a tremare flebilmente, spero di avere una postura elegante quando mi agito. In un istante mi sono ricordata della mia gonna nuova. Era ancora in quella borsa gelida. Ho tirato fuori dalla borsa quei pochi centimetri di gonna, è stato come estrarre lentamente una fonte di felicità per renderla pubblica al mondo. Ho messo la bambola sul letto, in modo che potesse guardarmi mentre mi cambiavo. Improvvisamente la rosa s’è aperta sul mio corpo. Ho sentito tante spine incassarsi nella mia pelle: questo vestito rimarrà per sempre sul mio corpo, non me ne separerò mai. Dai, bambola, guardami, guarda come sono bella.

7.

Al crepuscolo Xiao Ran camminava su e giù per la soffitta. Erano le sei. L’uomo aveva mangiato un pesce alla griglia e un piatto di mais bollito. Solitamente, dopo mangiato, cominciava ad addormentarsi, poi, arrivate le otto, si svegliava per guardare un film di sparatorie. In quel momento era particolarmente su di giri, talvolta afferrava il pennello che aveva a fianco e lo picchiettava sul tavolo da disegno. A quell’ora avrebbe dovuto già essersi addormentato. Xiao Ran sentiva provenire dall’esterno le urla chiassose dei bambini, e le parve andassero tutte verso un’unica direzione. Pensò che il suolo fosse talmente ghiacciato da poterli trasformare tutti in pinguini. Aveva polverizzato i petali dei narcisi tagliuzzati per sfregarli sul suo corpo e lungo il collo. La linfa dei narcisi pian piano si insinuava, fino a navigare il suo sangue. Riusciva a sentire le loro voci discordanti amalgamarsi l’una con l’altra. Sì, amalgamarsi, fondersi come in un unico sguardo. L’orologio rintoccò di nuovo e l’uomo era ancora sveglio. Stava dando un’occhiata a un album da disegno comprato tempo addietro, gli occhiali di tanto in tanto scivolavano dalla sella del naso, lui allora li reggeva e continuava a sfogliare, senza mostrare alcun cenno di sonno. Xiao Ran desiderava ardentemente uscire all’aria aperta, avrebbe voluto seguire il passo di quei ragazzi selvaggi, avrebbe voluto essere di nuovo di fronte a quel ragazzo, avrebbe voluto ascoltarlo mentre faceva il cascamorto con lei. Ma era necessario che l’uomo dormisse, così da saltar fuori da quella scatola di legno, lasciarsi alle spalle il suo russare e i narcisi morti per poi andare all’appuntamento. Si morse il labbro con i denti che sembravano una fila di mughetti incolore aperta tra le sue labbra, procurandosi una ferita.

Andò al piano di sotto. Si era ricordata che sul balcone del piano inferiore avrebbero dovuto esserci altri narcisi, per cui andò a prendere le forbici. Xiao Ran impugnò le forbici, si rimboccò le maniche, indossò un paio di pantofole ormai spelacchiate e corse al piano di sotto. Andò dritta verso i narcisi, ma quando l’uomo la vide le disse improvvisamente di sedersi. Eh? Fece Xiao Ran balzando dallo spavento. L’uomo aveva già impugnato il pennello a fianco a sé e fece cenno a Xiao Ran di sedersi. Oggi che indossava una gonna era molto diversa, aggiunse parlando lentamente. Rimase un attimo basita, poi capì che aveva intenzione di dipingere. Si fermò, posò le forbici sulla tavola di legno dei pennelli, dopodiché prese uno sgabello e si mise a sedere. In quel momento ebbe improvvisamente la sensazione che il tempo si fosse fermato, che fosse saldata a un ingranaggio arrugginito e che la rosa della sua gonna fosse appassita e caduta proprio su quell’alto ingranaggio. Si aggrappò saldamente alla gonna, come per trattenere in entrambe le mani l’ultimo petalo. Il mondo era destinato a prosciugarsi del tutto, alzò lo sguardo e vide gli angoli degli occhi dell’uomo riarsi e della sporcizia fangosa addensarsi come una nuvola. Xiao Ran ebbe l’impressione che qualcuno la stesse chiamando dal piano di sotto, pensò ci fosse un sentiero segnato da uno splendido tappeto rosso che si andava dispiegandosi e aprendosi lentamente di fronte alla porta di casa. Sentiva che avrebbe dovuto salire, sarebbe dovuta andare. Sentiva quello sguardo solenne attendere la sua rosa alla fonte. Xiao Ran avrebbe voluto volare via in un balzo, volare via da quella caverna cupa in quell’ultimo barlume di sole crepuscolare.

8.

Mi sembra di vedere la mia bambola ballare sulla tavola di legno. Le sue labbra sono così sanguigne.

9.

L’uomo dipingeva, dipingeva, finché lentamente non si arrestò. Avvolgeva quella ragazza delicata con il suo sguardo. Era forse la prima volta che la coccolava in quel modo. Gli piaceva molto la sua gonna, la faceva apparire una donna matura e prosperosa. Gli ricordava l’aspetto di sua madre, la prima volta che era comparsa nella sua vita. Sorridi, dai, sorridi, le diceva, non sorridi mai, fallo almeno ora. L’uomo in quel momento era molto indulgente e accomodante, oltre che esuberante e allegro come un bambino. Xiao Ran sorrise appena, mentre osservava un gruppo di ragazzi attraverso la finestra, che le apparvero come uno stormo di piccioni bianchi in volo. L’uomo ne fu particolarmente felice e il sonno era svanito del tutto. Finito di dipingere rimase a guardarla, quando d’un tratto si alzò in piedi e prese con forza Xiao Ran, abbracciandola forte contro di sé. Xiao Ran sembrava una zattera messa in verticale tra le braccia dell’uomo. Portò le mani al cielo, facendo emergere un sorriso da farsa e a poco a poco sentì che c’era qualcosa di sbagliato. L’uomo riprese a parlare. Peccato per quelle labbra così pallide, altrimenti saresti un vero schianto, le disse. La bambola continuava a ballare, aveva girato per sette volte, mentre la rosa della sua gonna aveva dischiuso un nuovo fiore. Tutto ciò era destinato a sfiorarla per poi sparire.

10.

L’uomo mi abbraccia forte. Le mie mani sono sospese in aria. Il mio cuore e i miei occhi si nascondono tra le pieghe della rosa della mia gonna per andare all’appuntamento. Ho tanta sete, le mie labbra sembrano un pesce disidratato che a poco a poco perde le sue squame. Tutto passerà. L’orologio ha rintoccato ancora. Il pendolo è uno stetoscopio crudele, batte sul mio cuore fragile da paziente ammalato. Credo fermamente che il mio cuore stia improvvisamente cominciando a seguire le voci e il fragore emessi da un luogo non molto lontano. Uomo, perché ancora non dormi? I miei occhi si illuminano, i miei occhi brillano. La mia mano afferra il coltello che è sul tavolino alle spalle dell’uomo, con molta naturalezza. Lo impugno saldamente, sembra che la mia mano e il coltello si attirino come due calamite. Si intrecciano fermamente, sono legati indissolubilmente, sono in combutta tra di loro. Credo di sapere cosa stanno progettando, credo di aver capito cosa sta per accadere. Ma è troppo tardi per tornare indietro, la mia mente è altrove, in un posto pieno di vita. Sto ballando, sembra che anche la bambola stia facendo delle giravolte, sommersa da uno sguardo. Il coltello va a tentoni, entrando dritto al centro del corpo dell’uomo. L’uomo al momento non si muove. La sua bocca ha emesso un rumore capace di squarciare una rete. Faccio ancora pressione sul manico del coltello, pugnalando a fondo la sua schiena. Tiro fuori rapidamente il coltello. Tutto ciò è molto familiare, è come se avessi fatto pratica in passato su ogni singola radice dei narcisi. L’uomo non emette nessun suono d’odio, sto pensando se aiutare o meno mio padre a bloccare l’emorragia. Getto a terra il coltello, dopodiché con entrambe le mani tocco l’uomo andando alla ricerca della ferita. È come se sui miei palmi scorresse dell’acqua termale, ha un odore più intenso della linfa dei narcisi. L’uomo accenna una sorta di sorriso indulgente, poi si accascia a terra e le sorgenti calde si spandono dietro di lui, sembra una roccia che cade a terra frantumandosi.

11.

Xiao Ran guardò l’uomo. Sulla tavola da disegno dietro di lui c’era un colore caldo, pensò fosse per la tinta della sua gonna. Non poteva saperlo. D’un tratto Xiao Ran voltò la testa e, con le mani impregnate di calda sorgente rossa, corse in soffitta. La scala era così lunga, lo sguardo scorreva lungo il corrimano e il pavimento. Xiao Ran non aveva mai corso così veloce, mentre ansimava si fermò di fianco alla sua toletta. Spalancò la bocca per respirare di fronte al suo specchio grigio, poi si soffermò a guardarsi. Non aveva mai avuto una visione così nitida di se stessa. Sulle labbra era spuntata una crosticina violacea. Xiao Ran la osservò e continuò a scrutarla fino a che non vi portò lentamente una mano. Rimanendo di fronte allo specchio, prese un po’ di sangue e si dipinse le labbra. Il sangue tiepido stava così bene sulle sue labbra e queste si dischiusero in un’azalea rossa. Xiao Ran, ripensando alle parole del ragazzo, osservò allo specchio il rosso acceso delle sue labbra e rise soddisfatta.

12.

Guardando il fiore rosso riflesso allo specchio, sono scoppiata a ridere.

Tradotto da Claudia Carella, 29 Novembre 2013