I racconti di Qian Zhongshu 钱钟书 (1910-1998) studioso, accademico e scrittore prolifico, vengono pubblicati per la prima volta in italiano con l'editrice Aracne. Autore principalmente di saggistica, Qian Zhongshu ha scritto anche prosa letteraria che si contraddistingue per l'eleganza e la lucidità dello stile e per aver saputo narrare, con evidente ironia, le vicende e i personaggi del travagliato periodo storico di inizio Novecento.
Per gentile concessione di Aracne editrice, vi proponiamo un estratto della raccolta di racconti "Uomini, Bestie, Demoni".
Su China Files l'intervista alla traduttrice Tiziana Lioi.
C’era una volta uno scrittore famoso, di cui però non conosciamo neppure il nome. Questo non perché egli non ce l’avesse, un nome, o lo avesse ripudiato, o non volesse svelarlo, e neppure perché era un nome troppo strano da pronunciare. Il motivo in realtà è molto semplice: il suo nome era talmente altisonante che non avremmo mai potuto udirlo in modo chiaro.
Succedeva per lui la stessa cosa che sarebbe successa se ad esempio il postino avesse dovuto recapitare una lettera con l’intestazione ‘Al più grande poeta francese’: senza dubbio alcuno l’avrebbe recapitata a Victor Hugo; o come se l’ufficio telegrammi, dovendo recapitare un telegramma con l’indirizzo ‘Al più grande poeta italiano vivente’, l’avrebbe recapitato a Gabriele D’Annunzio senza alcun bisogno che vi fosse specificato nome e indirizzo.
Ma la reputazione del nostro scrittore era ancora più grande, e non solo non c’era bisogno di scrivere il suo nome, ma non c’era neanche bisogno di conoscerlo, sepolto completamente sotto il lustro della sua fama. Bastava pronunciare la parola ‘scrittore’ e tutti capivano che si stava parlando di lui.
Questo scrittore era davvero un genio, e dunque assai prolifico; ma, essendo fornito fra l’altro anche di coscienza artistica, i suoi lavori avevano un parto difficile. Ma la letteratura, per fortuna, è cosa ben diversa dalla nascita dei bambini e il parto difficile delle opere letterarie non metteva a repentaglio la sua vita, limitandosi ad aumentare il peso sulle spalle dei lettori. Egli aveva scritto innumerevoli romanzi, testi teatrali, saggi e poesie; aveva commosso, ispirato e influenzato numerosissimi studenti. All’estero le vendite delle opere letterarie sono determinate dal gusto delle classi medie.
Ma nella nostra Cina, paese antico, baluardo della tradizione classica, non si ha cura della ricchezza materiale e le opere letterarie si valutano in base agli standard e alla sapienza degli studenti delle scuole medie. Solo gli studenti di scuola media, infatti, dotati di un cervello che non usano, apprezzano le conferenze e sono facili all’ammirazione di grandi uomini, invasi da dolori come quelli del giovane Werther, e spendono soldi per comprare libri o per pagare l’abbonamento a riviste.
Quanto agli studenti universitari, sono essi stessi autori di libri e vogliono pubblicarli per farli comprare ad altri. I professoroni invece neanche scrivono più e si limitano a comporre prefazioni per altri. Chi diventa ancora più importante dei professori universitari poi, non scrive neanche prefazioni, e adorna soltanto con bella grafia le copertine dei libri altrui, che devono poi essergli dedicati.
Il nostro scrittore dunque conosceva il segreto del successo e sapeva di doversi rivolgere agli studenti di scuola media. La sua opera omnia poteva a buon diritto portare il titolo: “Per lettori né piccoli né grandi”, oppure “Alcune lettere anonime con tassa a carico di tutti i giovani”: “anonime”, lo abbiamo spiegato prima, perché non sappiamo il suo nome e “con tassa a carico” perché sono i giovani a dover mettere mano alle proprie tasche per comprare i libri.
Il nostro scrittore, che sapeva restare calmo anche in situazioni difficili, riusciva a far passare la superficialità per chiarezza e una gran confusione di idee per profondità di pensiero. Poiché i suoi capolavori erano così numerosi, era diventato uno scrittore su cui era impossibile sorvolare e le sue opere si trovavano davvero ovunque. Agli avventori dei chioschi di pizzette fritte, o dei banchetti di specialità, o dei venditori di noccioline, spesso capitava di ricevere ritagli di pagine dei suoi romanzi o dei suoi drammi, che diventavano inaspettatamente nutrimento per la mente.
Alla fine il suo contributo letterario venne riconosciuto sia da parte del popolo che dal governo. Il suo talento fu ammesso uffcialmente e i suoi lavori più rappresentativi furono tradotti in esperanto da un comitato di esperti del settore incaricati dal governo, per permettergli così di concorrere come candidato al premio Nobel per la letteratura.
Non appena la notizia fu resa pubblica, un suo ammiratore immediatamente pubblicò un articolo sulla tribuna dei lettori di un giornale che diceva: “Il governo deve sostenere questa causa! Basta pensare che le sue opere sono talmente ricche di personaggi da poter popolare un’isola deserta. Oggi a causa della guerra la popolazione è diminuita, ed è opportuno incoraggiare alla riproduzione, già solo per questo lo scrittore dovrebbe ottenere un riconoscimento governativo per essere un modello per i suoi compatrioti”.
Peccato però che l’esperanto, la ‘lingua comune a tutto il mondo’non riesca a valicare i confini delle nazioni. I giudici del premio Nobel poi, erano tutti vecchi e ottusi pezzi di antiquariato e conoscevano soltanto l’inglese, il francese, il tedesco, l’italiano, il russo e al limite il latino e il greco antico e non c’era nessuno che conoscesse l’esperanto. I giudici dunque, che continuavano a sfregare con foga gli occhiali stringinaso da presbiopia, non riuscirono comunque a pulirli abbastanza da poter leggere con chiarezza il capolavoro che il nostro scrittore aveva offerto alla loro valutazione.
Dopo un bel po’ di tempo, un giudice anziano, che aveva in passato studiato cose cinesi, esclamò all’improvviso: “Ecco! Ecco! Questo non è scritto in una lingua europea, ci siamo confusi! Questo è cinese, sono i loro caratteri latinizzati, certo che non potevamo conoscerli!” Tutti fecero allora un sospiro di sollievo e si tranquillizzarono. Un tale che stava seduto di fianco al nostro sinologo allora gli disse: “Ma tu, che conosci per l’appunto il cinese, dicci dunque: di cosa si parla in quest’opera?”
Il nostro sinologo rispose con aria solenne: “Caro maestro, il valore della conoscenza sta nella specializzazione. Il mio defunto padre si è specializzato per tutta la vita nello studio della punteggiatura nella letteratura cinese e io da quarant’anni studio la fonetica. Ciò che tu domandi è il senso del testo, e questo non rientra nell’ambito della mia specializzazione. Se poi il cinese abbia o meno significato, non oso esporre il mio giudizio soggettivo e azzardato, se non prima di averne trovato prove a conferma io stesso. Il perché di questo mio atteggiamento, caro maestro, di sicuro non sfugge alla tua comprensione”.
Il Presidente della congrega di vegliardi vide che il nostro sinologo iniziava a essere maldisposto e si affrettò ad aggiungere: “Penso che nonsianecessario analizzare quest’opera; essa,infatti,non è conforme al nostro regolamento. In base alle nostre norme è necessario usare una lingua europea per concorrere al Premio e questo testo è scritto in cinese. Non dobbiamo dunque sprecare il nostro tempo a dibattere un problema siffatto”. Tutti gli altri furono d’accordo ed espressero la loro ammirazione per l’approccio accademico così prudente del sinologo.
Il nostro studioso si affrettò poi ad aggiungere umilmente che egli comunque non poteva ritenersi all’altezza di quel candidato americano specialista di oftalmologia che aveva vinto il premio Nobel per la medicina e che, specializzato nell’occhio sinistro, non si occupava dei disturbi dell’occhio destro: quello era davvero notevole. In questo clima di gentiluomini, tessendo lodi vicendevoli, i nostri si congedarono. Peccato solo per tutte le speranze del nostro povero scrittore!
Si dice che, dopo la proclamazione del vincitore del Premio, tutti i cinesi si siano indignati, per non parlare della delusione del nostro scrittore. Tanti suoi colleghi, dagli occhi rossi di gelosia e verdi d’invidia, avevano già mandato a memoria i commenti che avrebbero fatto una volta vinto il premio, criticando la scelta del nostro scrittore come non appropriata.
Queste persone ora mostrarono tutta la loro comprensione, espressero a gran voce il loro dispiacere e perfino il colore dei loro occhi tornò normale, come sciacquato dalle lacrime versate per la partecipazione alla sua delusione, proprio come il sereno dopo un acquazzone. L’editoriale di un tale giornale accusò il Presidente del premio Nobel di essere un ‘ingrato’ perché Alfred Nobel aveva fatto fortuna con la dinamite, e il merito della scoperta era della Cina che per prima aveva scoperto la polvere da sparo: che si prestasse, dunque, attenzione a questo punto.
Ma il sinologo del comitato non era ancora arrivato a studiare la semantica della lingua cinese e questo portentoso articolo fu scritto a vuoto. Un altro giornale, con la fantasia a briglie sciolte, prese a consolare il nostro scrittore con tono di lode, dicendo che egli era uno scrittore di assoluto successo, un genio incompreso, un artista ignorato e trascurato: “Successo e torti sono due componenti che in genere si trovano in opposizione, egli però ha il privilegio di riceverli entrambi e questa è davvero un’occorrenza rara e invidiabile!”
Il terzo giornale avanzò un suggerimento pratico: “Un prestito contratto all’estero può pure essere considerata una politica vantaggiosa, ma fregiarsi di un riconoscimento straniero è sempre una umiliazione. Per la dignità del nostro paese dovremmo noi stessi istituire un premio letterario per boicottare il premio Nobel, affinché non perdiamo il diritto sovrano della critica letteraria. La condizione alla base di questo premio letterario sarà l’accesso alla candidatura unicamente di opere scritte in qualsiasi dialetto cinese; i dialetti cinesi comprenderanno anche l’inglese parlato a Shanghai e Hong Kong, il giapponese parlato a Qingdao, il russo parlato a Harbin.
Dopo l’istituzione di questo premio, il premio Nobel perderà ogni valore. Gli scrittori occidentali inizieranno a leggere e scrivere il cinese per poter concorrere al nostro premio, e i cinquemila anni di cultura cinese finalmente penetreranno l’occidente. Il premio Nobel porta il nome di un individuo e dunque anche il nostro premio dovrà avere il nome di un personaggio. Ad esempio, perché il nostro scrittore non usa questa strategia or ora suggerita e con l’aiuto dei diritti d’autore o delle remunerazioni dei suoi scritti non istituisce questo premio?”
Vignette dal web cinese
In cortile
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