Le “parole vuote logorano la nazione”


2013 Apr
23

Le “parole vuote logorano la nazione”
西方的 “空谈误国” di Zhang Weiwei ( 张维为 )


La crisi in Occidente ha alzato i toni della contesa tra modello Cina e sistema liberale. In risposta alle tradizionali critiche contro il monopartitismo e l’autoritarismo del sistema cinese, il Prof Zhang Weiwei 张维为 indaga sui mali insiti nel sistema democratico, individuando dei fattori chiave nella divisione politica, nel principio elettorale e nella diffusione dei populismi. L'articolo è stato scritto nel marzo 2013.


“Le parole vuote logorano la nazione, l’azione pratica rende florido lo stato” (1), è questa l’importante lezione data dall’ascesa cinese. In realtà, l’espressione “le parole vuote logorano la nazione” è una legge universale, indice di buon governo in ogni paese al mondo e in uso anche in Occidente. La crisi che oggi attanaglia i paesi occidentali –crisi finanziaria, crisi del debito e crisi economica- in gran parte è riconducibile a questa legge. Se i sistemi occidentali non sapranno mettersi alle spalle la malattia delle “parole vuote che logorano la nazione”, il loro declino sarà ancora più veloce.

In Occidente, i principali sintomi di questo male sono tre:

1) Inutili lotte intestine

Per via dei meccanismi del sistema politico elettivo, in vigore nei paesi occidentali, le principali riflessioni alla base delle iniziative dei politici sono dettate dalle necessità del voto. Se prendiamo l’esempio della crisi del debito in cui è sprofondata la Grecia, anche con il paese sull’orlo della bancarotta tutti i partiti hanno dato vita a estenuanti dispute dialettiche in vista della nuova tornata elettorale.

Contro ogni aspettativa, lo scorso anno, i leader greci hanno pubblicamente sostenuto il ricorso al voto per mettere sotto pressione l’Unione europea. Per un po’ l’intera Europa è caduta nell’ansia, ma gli obiettivi reali di questi politici erano quelli di portare a termine determinate transazioni interne tra i partiti.

Non sorprende se alcuni studiosi occidentali commentarono la politica greca con queste parole: «la Grecia ha inventato la democrazia, ma oggi probabilmente ha rovinato la reputazione della democrazia. Ad Atene i politici parlano senza interruzione, aggravando con ogni probabilità la crisi del debito europeo, con pesanti ripercussioni sull’economia greca, su quella europea e su quella del mondo intero».

Anche negli Stati Uniti il male delle “parole vuote che logorano la nazione” è in stato avanzato. In sostanza lo tsunami finanziario americano è stato causato dall’assenza di supervisione sulla finanza e dal controllo esercitato dal capitale sul sistema. Sebbene la crisi fosse imminente, neanche con il passare  del tempo i democratici e i repubblicani sono stati in grado di maturare una coscienza comune e una risposta unitaria alla crisi, cosicché molte discussioni sulle proposta di riforma hanno generato scontri estenuanti.

Nel 2008, all’origine dello tsunami finanziario, il partito repubblicano usò –o minacciò di usare- l’ostruzionismo parlamentare, paralizzando l’ottanta per cento dei più importanti provvedimenti legislativi. Queste inutili lotte intestine non sono venute meno ancora oggi. Il quotidiano inglese Financial Times l’anno scorso ha pubblicato un articolo intitolato Il desiderio di autodistruzione di Washington, dove era scritto: «è difficile ricordare un momento più fosco per la politica americana». I politici americani venivano attaccati per essersi allontanati dal giusto e avere inseguito gli interessi, per la volontà di distruggere la parte avversa, arrivando persino ad «auspicare l’economia peggiore possibile» (2).

2) La parola non mantenuta

Un problema comune all’interno del modello occidentale è che i politici fanno grandi promesse, salvo poi rimangiarsi la parola. Il Giappone ha sperimentato “vent’anni di perdita”, durante i quali anche in politica i primi ministri si sono susseguiti come fossero figurine. I politici si sono confrontati facendo le promesse più accattivanti, ma ciò che hanno tradotto in pratica è estremamente limitato.

Oggi, una delle particolarità del sistema politico occidentale è quella di aver prodotto una classe politica abile nel vendere chiacchiere ma incapace di agire. Il Giappone ne è un esempio tipico: il vecchio premier Yoshihiko Noda dichiarò pubblicamente: «sono una persona comune, cioè un parlamentare senza santi in paradiso e senza ricchi patrimoni. Non sono bello e non ho talenti particolari. Ma c’è una cosa di cui vado fiero: tra i politici attuali sono il migliore oratore di piazza».

In un editoriale del giornale giapponese People Weekly, veniva scritto: «se la messa in scena di un dibattito elettorale in stile americano bastasse a cambiare la politica in Giappone, con un gruppo di eminenti opinionisti saremmo già a posto, ed è proprio il tipo di persone che non mancano al Giappone. Se la politica nazionale è nel caos non è perché persone come queste sono troppo poche ma perché sono troppe. Attualmente al Giappone non mancano gli opinionisti ma gli uomini d’azione».

Quattro anni fa, il presidente americano Obama entrò nella Casa bianca gridando ai quattro venti lo slogan del “cambiamento”. Ora che quattro anni sono passati quante promesse ha mantenuto? Wall Street è sempre la stessa, la riforma del sistema sanitario è ancora in sospeso. Promise di ridurre il debito pubblico e invece dagli undicimila miliardi di dollari siamo arrivati ai sedicimila miliardi attuali.

Deng Xiaoping 邓小平, già all’inizio degli anni Ottanta dello scorso secolo, si prendeva gioco delle promesse non mantenute della democrazia americana: «gli americani decantano tanto il loro sistema, ma durante la campagna elettorale presidenziale prendono degli impegni, appena assunto l’incarico altri impegni, nel mezzo del mandato altri ancora, in prossimità della nuova tornata elettorale ancora un altro impegno. E poi sono sempre lì a dire che le nostre politiche non sono stabili; a paragone con le loro le nostre politiche sono molto più stabili».

Nel 2011 Standard & Poor’s ha ridotto l’indice di credibilità del governo americano; la ragione principale è che «l’aumento dell’incertezza del processo decisionale politico americano» avrebbe determinato «il calo di fiducia nei confronti dei processi decisionali politici americani». Anche i risultati del sondaggio fatto dalla società americana Gallup nel giugno 2012 hanno portato alla stessa conclusione: l’indice di approvazione dei cittadini americani al Congresso persiste su livelli bassi, fermo a un mero diciassette per cento.

3) La moda del populismo

Nei paesi occidentali, la democrazia si sta trasformando sempre più in populismo, dove i politici controllano e gettano continuamente fumo negli occhi della popolazione. Non appena le elezioni si avvicinano, sono disposti a dire qualsiasi cosa, ben pronti a sfoderare tutti i trucchetti e senza preoccuparsi di cosa in realtà sia giusto o sbagliato, né degli interessi collettivi a lungo termine del proprio paese. Il risultato è il progressivo vuoto di razionalità e di responsabilità nell’amministrazione di molti stati occidentali.

Le elezioni americane dello scorso anno hanno visto Obama e Romney sfidarsi all’ultimo colpo, aprirsi a confronti su affari interni, politiche estere, economia, benessere e altre questioni; tuttavia, a più riprese, sono finiti a parlare della lontana Cina. Naturalmente le difficoltà odierne degli Stati Uniti sono determinate dalla rapacità di Wall Street e da altri fattori, fatto sta che i politici hanno attaccato i cinesi per aver scippato posti di lavoro agli americani e hanno fatto risalire gli squilibri della bilancia commerciale tra Cina e Stati Uniti alla questione del cambio con lo yuan. Per i politici americani questo è solo il modo migliore per gettare fumo negli occhi della gente comune e accaparrarsi i voti, così la Cina è diventata il capro espiatorio di molti dei problemi americani.

Questa politica populista, che di continuo si fa bella con le elezioni, è la causa principale della caduta nella crisi del debito pubblico dell’amministrazione americana a ogni livello. La bancarotta del governo californiano è un tipico esempio di ciò: il populismo ha spinto tutti i politici verso la retorica sulla riduzione delle tasse, prima con l’abbassamento dell’imposta patrimoniale, poi con l’abolizione del bollo auto. Alla fine il governo californiano è precipitato nello stato di bancarotta. A questo punto il governo ha pensato bene di reintrodurre il bollo auto, ma il parlamento locale ha fatto ostruzione; così, alla fine, le finanze californiane sono finite in un circolo vizioso.

Se nei paesi dell’Europa meridionale –Portogallo, Italia, Grecia e Spagna- è scoppiata in successione la crisi finanziaria, la principale ragione è sempre la bassa statura di quei politici che fanno a gara per trarre vantaggio dalle elezioni. Qualsiasi spesa a sostegno del welfare ha gravato sulle riserve nazionali e alla fine a farne le spese è sempre la gente comune.

La legge de “le parole vuote logorano la nazione” segna il grave declino della tradizione democratica occidentale. Lo scenario è quello di un sistema democratico che si sta progressivamente trasformando in un giocattolo, dove la democrazia equivale alla campagna elettorale, che a sua volta rappresenta un’operazione di marketing politico, che corrisponde a una gara a base di soldi, performance e parole vuote. Le promesse fatte dai politici raramente vengono mantenute e la maggioranza degli elettori non vede alternative a tutto ciò, così si arriva al calo generale della qualità amministrativa, fino anche all’improvviso declino.

Il modello democratico occidentale assomiglia molto a un bambino viziato, che quando eredita dai genitori le ricche proprietà di famiglia, può continuare a scialacquare e a spassarsela per un po’, proprio come fanno la maggior parte dei paesi occidentali oggi. Però per i paesi in via di sviluppo –che possono contare su un’eredità meno cospicua- la situazione è anche peggiore.

L’India ha messo in pratica una democrazia di tipo occidentale, contraendo anche il male delle “parole vuote logorano la nazione”. In occasione della campagna elettorale di nove anni fa, i politici la spararono grossa: dopo cinque anni il mondo «si sarebbe scordato di Shanghai e avrebbe parlato solo di Mumbay». Oggi questa millanteria è già diventata un classico tra le barzellette sulla politica.

Così come il concetto cinese “le parole vuote logorano la nazione” mette in luce alcuni mali cronici del modello occidentale, allo stesso modo il detto “tenersi al passo coi tempi e progredire” (3) in generale è la ricetta che la Cina potrebbe offrire all’Occidente.

In realtà anche molti occidentali dotati di buona prospettiva si sono già resi conto di questo. Dopo la crisi che il Belgio ha vissuto nei cinquecentoquaranta giorni senza governo, un gruppo di intellettuali di questo paese nel novembre del 2011 ha pubblicato il “Manifesto dei mille”, fortemente critico verso i sistemi occidentali per l’incapacità di “tenersi al passo coi tempi e progredire”.

«Ovunque c’è innovazione, meno che nella democrazia. Le aziende hanno bisogno di continua innovazione, gli scienziati devono sempre oltrepassare le barriere del sapere, gli atleti inseguono sempre nuovi record del mondo e gli artisti nuove creazioni. Ma quando parliamo di forme di organizzazione sociale, evidentemente siamo ancora soddisfatti delle pratiche del 1830. Perché dovremmo morire imbracciando anticaglie di duecento anni senza avere la possibilità di voltare pagina? La democrazia è un organismo vivente, la forma della democrazia è tutt’altro che immutabile, dovrebbe seguire i bisogni delle epoche e maturare continuamente».

Che grandi parole! Se l’Occidente rifiuterà ancora le riforme per “tenersi al passo coi tempi e progredire”, non verrà a capo del male delle “parole vuote che logorano la nazione”. E allora temo che sarà difficile invertire la tendenza al suo declino e persino impedire che alcuni paesi scivolino rapidamente verso il terzo mondo.

In realtà questo fenomeno si è già verificato all’interno di diverse nazioni: negli Stati Uniti, in Francia, in Italia e altrove ci sono già pezzi di società ai livelli del terzo mondo, mentre paesi come la Grecia sembra che stiano scivolando per intero nel terzo mondo. Le nazioni occidentali devono stare all’erta: piuttosto che sprecare energie per mettere in vetrina la loro democrazia farebbero meglio a pensare più a se stesse, e ad avere il coraggio di rielaborare completamente il proprio modello di governo.

Note al testo:

(1)     L’espressione, fatta risalire generalmente alla tarda epoca Ming (1368-1644), è stata riadottata da molti leader cinesi negli ultimi decenni, tra tutti Deng Xiaoping 邓小平 e l’attuale segretario generale del partito comunista cinese Xi Jinping 习近平.

(2)    Nell’articolo originale l’auspicio veniva accostato ad alcuni repubblicani, che speravano di trarre dei vantaggi politici dalla crisi americana con l’occhio rivolto alle presidenziali del 2012.

(3)    Il detto “tenersi al passo coi tempi e progredire” (与时俱进 yu shi ju jin) fu introdotto nel 1910 dall’intellettuale di ideali anarchici Cai Yuanpei 蔡元培 (1868-1940), tra i principali esponenti del Movimento del 4 maggio 五四运动, proprio per criticare la crisi stagnante della dinastia imperiale Qing 清代 (1644-1911) e incoraggiare al cambiamento sul modello dello sviluppo dei paesi occidentali. Sarebbe poi divenuto uno dei principali slogan di Jiang Zemin 江泽民, segretario del partito comunista cinese tra il 1989 e il 2002.

* editing a cura di Gabriele Battaglia

Tradotto da Mauro Crocenzi, 23 Aprile 2013