Il massacro di piazza Tian'an men del 1989 è argomento tabù in Cina. Le autorità e i grandi mezzi di informazione hanno sempre messo a tacere le voci che accennavano, apertamente o velatamente, ai tragici fatti di ventidue anni fa. Parole chiave e testimonianze scritte, audio o video sono irreperibili nell’internet cinese. Ciò non significa che non siano presenti voci che affrontano l’argomento o che la macchina repressiva del potere sia riuscita a cancellare dalla memoria collettiva una data così pregna di significato.
Per i blogger cinesi è comune registrarsi contemporaneamente su piattaforme diverse e, a volte, con pseudonimi diversi, mantenendo gli stessi contenuti sui diversi siti. È un metodo per aggirare la frequente e arbitraria chiusura dei blog. Avendo a disposizione più piattaforme, gli argomenti ‘armoniosi’ (leggi innocui) vengono pubblicati su alcuni siti (Sina 新浪, Tianya 天涯 o Sohu 搜狐, sono rapidi nel rimuovere post ‘poco armoniosi’) mentre gli argomenti ‘sensibili’ vengono proposti su altri siti, cioè quelli sistematicamente bloccati e irraggiungibili dalla Cina se non con un vpn (per esempio l’aggregatore Bulloger 牛博国际).
Nel post tradotto, Fu Guoyong osserva la Cina nei ventidue anni passati dal massacro di piazza Tian'an men. L’articolo è pubblicato su Bulloger.
Ventidue anni
Non esiste una piazza dove poter accendere candele, c’è solo un muro di storia accarezzato dalle macchie di sangue che lo ricoprono. Non importa come si evolvono i tempi né le vicissitudini del mondo: nessuna vernice del potere può cancellare le macchie di sangue da questo muro.
Ventidue anni: le nostre vite proseguono di giorno in giorno, la storia non si è fermata. Le autorità hanno sempre creduto all’onnipotenza del potere, tramite il quale acquisiscono le risorse disponibili e coprono tutte le ingiustizie. In ventidue anni, questa nazione si è sviluppata secondo questa logica, raggiungendo enormi successi superficiali. Ma da ventidue anni c’è anche un altro segnale che si sviluppa pacato e senza voce, una volontà che non cambia a seconda delle persone o dei gruppi. È un’idea che cresce secondo la logica stessa della storia: finché sussiste l’aspirazione dei cinesi ad una vita libera e normale, quest’idea non potrà svanire né spezzarsi. […]
Giorni fa ho letto gli Scritti di Mei Guangdi. […] Mei Guangdi (1) riteneva che la storia non è altro che la registrazione di valori inalterati da sempre inseguiti dall’umanità: dobbiamo comprendere e fare nostre le cose vere, buone e belle che sopravvivono alla prova del tempo. Il giovane Mei Guangdi aveva ragione: la storia non è una linea retta e non può procedere da una vittoria ad un’altra. La storia può crollare dalle più alte vette ai più profondi abissi; può attraversare sofferenze atroci, involuzioni ripetute e cadute senza speranza. Le illusioni di conquiste trionfanti e evoluzione costante sono solo un’utopia.
[…]
Ventidue anni di storia contemporanea cinese ci mostrano come la macchina del potere si sia sforzata al massimo e abbia escogitato tutti i modi possibili per cancellare il 4 giugno dal registro della storia. Ma non si può cancellare. Questa data è un incubo che prende forma, è un giorno di cui non ci si può sbarazzare. Da allora nessuno, che si tratti di dirigenti o di gente comune, può evitare di affrontare o lasciarsi alle spalle questa data, che è dolore, terrore, evasione, maledizione; è una dimenticanza assidua, un riuscito lavaggio del cervello e altro ancora. […]
Alti funzionari, celebrità, magnati e povera gente possono solo vivere in questa ferita, o ai suoi margini: nessuno può sfuggirle, e nessuno può avere pace al di fuori di essa pensando che le future generazioni abbiano una vita assicurata. Un sentimento di indeterminatezza pervade l’intera società, lo prova il fatto che quasi tutti coloro che detengono il potere e i soldi mandano i figli all’estero. L’inquietudine del ricco non è inferiore a quella del povero, perché è tutto incerto. I gerarchi non riescono a godere di una vita serena e regolare, le loro paure sull’incertezza del futuro portano a nervosismo e paure immaginarie. Spesso per affrontare la situazione si tirano fuori giudizi sbagliati, si segue la corrente senza curarsi di dove ti conduce perché comunque manca una direzione, un obbiettivo: tutto è strategie e mezzi improvvisati, tutto è provvisorio, casuale, insostenibile. In tale stato di incertezza, non ci si riesce ad appigliare a niente se non alla convinzione che la violenza possa portare un senso di sicurezza.
Tale urgenza di cambiamento pacifico, di riscrittura della storia gradualmente stanno sfuggendo dalle mani delle lobby di potere; anno dopo anno, giorno dopo giorno, si percepiscono solo stati di incertezza e indeterminatezza, che buttano nella disperazione le persone più belle. C’è sempre meno da dire. Quando le voci di critica saranno sempre più oscurate, quando l’entusiasmo critico si sarà spento, allora sì che sarà spaventoso. Che tempi ci aspettano? Nessuno può saperlo.
[…] La quintessenza della nazione è stata ingiustamente messa da parte, il paese è disintegrato. Cosa resta alla Cina oggi? Solo una montagna di soldi, che sono carta straccia; chi osa affermare che sono affidabili e sicuri?
In ventidue anni il mondo è cambiato, la repressione si è fatta capillare e metodica, ma l’impegno dei cinesi a ricercare i valori fondanti non si è fermato. Questa idea non sembra così appariscente perché non è sotto i riflettori o nei luoghi in cui si concentrano i media. Non si capisce come possa riuscire dall’oggi al domani a rivoltare quest’epoca incerta. […]
In ventidue anni, a livello superficiale la Cina ha vissuto grandi mutamenti che non superano la grandezza delle aspirazioni della coscienza popolare. Ventidue anni fa, le grida di centinaia e centinaia di persone erano radicate in questa coscienza. I carri armati possono posticipare il progresso della storia, ma non possono cambiare le autentiche aspirazioni popolari. Il totalitarismo rivestito da consumismo può forse guidare la società per un po’, ma non può evitare di aumentarne la preoccupazione e l’incertezza e non può identificarsi con la coscienza di ognuno.
[…] La Cina che rifiuta di affrontare il 4 giugno e di guardare apertamente in faccia questa enorme ferita della storia può solo degenerare e continuare a corrompersi.
Disse Lu Xun: « se al mondo ci sono ancora persone che vogliono vivere veramente, devono osare. Parlare, ridere, piangere, indignarsi, imprecare e picchiare, per allontanare l’epoca maledetta a cui siamo condannati da questo luogo altrettanto maledetto ».
[…]
(1) Umanista e intellettuale originario della provincia di Anhui, Mei Guangdi 梅光迪 (1890-1945) fa parte di quel gruppo di giovani studenti cinesi che si forma all’estero nel primo trentennio del Novecento. Nel 1911 si specializza in letteratura ad Harvard; nel 1920, tornato in Cina, è tra i fondatori della società e rivista Xue Heng 学衡, legata all’Università di Nanchino, prima università ad aprire un dipartimento di letteratura occidentale. Mei Guangdi è direttore del dipartimento di inglese. Gli autori di Xue Heng si opponevano al Movimento per la Nuova Cultura 新文化运动 e sostenevano il pensiero confuciano, scrivevano in una ricercata lingua classica, che all’epoca era già stata abbandonata da molti intellettuali.
Vignette dal web cinese
In cortile
di zai_jie_tou ( 在_街_头 )Zai Jie Tou: la Cina va fotografata dal basso, o meglio dalla strada
BIAS Pi San 皮三
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