L’insurrezione a Lhasa del 10 marzo 1959 segnò l’inizio dell’esilio in India del quattordicesimo Dalai Lama e di gran parte del governo tradizionale tibetano. A distanza di quarantanove anni da quella data, nel marzo 2008, la commemorazione dell’insurrezione diventa la più grande rivolta conosciuta dal Tibet dalla fondazione della Repubblica popolare cinese. Dal 2008 a oggi sono passati cinque anni, ma molte località tibetane non hanno ancora conosciuto pace e stabilità. Alla repressione e all’inasprimento delle politiche di controllo hanno fatto seguito nuovi fenomeni di resistenza, tra cui oltre cento casi di immolazione compiuti da tibetani dal 2009 a oggi. A pochi mesi dall’incoronamento di Xi Jinping 习近平 da parte del diciottesimo Congresso nazionale del Partito comunista cinese e qualche giorno prima del quinto anniversario della grande rivolta del 2008, Woeser guarda al futuro per capire se, come mormorano alcuni, anche il Tibet trarrà beneficio dal grande “sogno cinese”.
È opportuno continuare a sperare che Xi Jinping, il nuovo leader del Partito comunista cinese, muti atteggiamento di fronte alla questione tibetana? La speranza di molti non è limitata al possibile rilassamento della linea dura ma, con un linguaggio simile a quello diplomatico, arriva a prevedere “cambiamenti sensibili”.
Ormai mi viene il mal di testa quando mi interpellano sul futuro della questione tibetana nell’era di Xi Jinping, perché subito dopo, come appendice, spesso viene ritirato fuori un racconto del passato che dovrebbe risultare toccante. La storia narra che sua santità il Dalai Lama, da poco entrato nei suoi vent’anni, strinse un’amicizia contraccambiata con Xi Zhongxun 习仲勋, padre di Xi Jinping e a quei tempi, nel fiore degli anni, alto funzionario del Partito comunista. Il realtà, sua santità ha davvero rievocato i suoi rapporti con Xi Zhongxun, che gli diede l'impressione di essere una persona moderata e aperta.
Tuttavia, Xi Zhongxun era stato precedentemente acclamato da Mao Zedong come persona «ancora più tenace di Zhuge Liang 诸葛亮» (1). Il commento aveva a che fare anche in questo caso con i tibetani. In sintesi, la storia racconta che ai tempi del successo del Fronte unito (2) uno dei capi della resistenza tibetana, Xiang Qian 项谦, accettò la resa. Da qui nasceva il parallelo di Mao con le sette catture di Meng Huo 孟获 (3) ad opera di Zhuge Liang, visto che anche Meng Huo in fondo non era altro che un leader di una minoranza etnica. Storicamente esistono innumerevoli versioni di questa storia ed è impossibile sapere come sia uscito di scena Meng Huo, fatto sta che Xiang Qian morì nell’arco di pochi anni nelle prigioni del Partito comunista cinese.
Per via della sua suprema posizione di potere, le persone azzardano previsioni sulla direzione che prenderà la gestione del Tibet sotto Xi Jinping. Oltre a guardare alla benevolenza del defunto padre nei confronti di sua santità il Dalai Lama e del decimo Panchen Lama, si parla anche dell’anziana madre di Xi e di sua moglie, la cantante Peng Liyuan 彭丽媛: entrambe sono “devote buddhiste” e si dice anche che Peng Liyuan abbia aderito proprio al buddhismo tibetano. Tutto ciò come non potrebbe avvicinare Xi Jinping al Tibet? Queste parole lasciano intendere che nel futuro del Tibet possa spuntare un filo di speranza o addirittura maggiore luce.
Ma sarà davvero così? Un celebre detto di Confucio, padre della cultura cinese, recita: «Osserva una persona per ciò che dice e ancor più per ciò che fa». Per quanto riguarda Xi Jinping, cioè colui che si accinge a fare man bassa di tutte le cariche, la frase che ha pronunciato più spesso all’indomani del diciottesimo Congresso nazionale del Partito comunista cinese è stata forse questa: «portare a termine la grande rinascita della nazione cinese». La sintesi di ciò è il “sogno cinese”, che però non è da ritenere una fantasia inarrivabile; infatti Xi Jinping ha enfatizzato con il suo cinese mandarino pulito: «Qual è il sogno cinese? Ritengo che portare a termine la grande rinascita della nazione cinese sia proprio il più grande sogno dell’epoca moderna. Ora, più di quanto lo sia stato in ogni altro momento della storia, questo obiettivo è a portata di mano».
La tradizione del Partito comunista cinese vuole che ogni leader abbia le sue linee guida. Per Deng Xiaoping 邓小平 erano le riforme e l'apertura, per Jiang Zemin 江泽民le tre rappresentanze, per Hu Jintao 胡锦涛 la società armoniosa e per Xi Jinping la rinascita della nazione cinese. E allora, la rinascita della nazione cinese in che cosa si tradurrà? Il 28 gennaio di quest’anno la presa di posizione di Xi Jinping sulla situazione delle isole Diaoyu-Senkaku è stata forte. Ha affermato: «In nessun modo rinunceremo ai nostri legittimi diritti e interessi, né sacrificheremo nel modo più assoluto interessi di Stato cruciali. Nessun Paese straniero può pensare che accettiamo contrattazioni su questi temi, né può sperare che ingoiamo il boccone amaro di un attacco alla nostra sovranità e alla sicurezza nazionale o allo sviluppo dei nostri interessi». E questi «interessi cruciali», se ci fosse bisogno di ripeterlo, significano proprio il territorio e la sovranità.
Alcuni analisti hanno già osservato che Xi si distingue dai suoi predecessori in quanto porta avanti posizioni nazionaliste dando risalto alla “rinascita della nazione cinese”. Il “sogno cinese” è il sogno di un grande impero cinese. Da una prospettiva più ampia, i vecchi stati imperialisti sono sul viale del tramonto, ma i nuovi stati imperialisti si stanno sollevando. La sovranità territoriale è la priorità delle priorità e, se è già nelle proprie mani, non va ceduta bensì tenuta stretta con tutte le forze. Due esempi: l’anno scorso, con l’adozione dei nuovi passaporti elettronici è stata proclamata la sovranità sul mar della Cina meridionale, sulle zone contese tra Cina e India, e su Taiwan. Poi, la contesa delle isole Diaoyu-Senkaku ha portato alla nomina di un “gruppo per la gestione delle emergenze relative alla crisi delle isole Diaoyu”, con alla guida lo stesso Xi, il che lo pone al comando degli apparati di controllo dell’esercito, dell’intelligence, della diplomazia e della sorveglianza marina.
Anche i tibetani hanno un sogno. Non più di due vie sono consentite: sua santità il Dalai Lama ha scelto la “via di mezzo”, richiedendo un alto grado di autonomia per il Tibet. Ma anche il desiderio di ottenere l’indipendenza cresce di giorno in giorno. Per il Partito comunista cinese la “via di mezzo” è un’indipendenza mascherata e a crimini come quello dell’indipendenza non vengono fatti sconti, perché hanno a che fare con la territorialità, la sovranità, e toccano gli “interessi cruciali” della Cina. Questo tipo di sogni va infranto a ogni costo.
Alcune persone non credono che Xi Jinping riuscirà a “portare a termine la grande rinascita della nazione cinese”, ritenendo che una nazione privata del proprio spirito e della sua anima non possa a tutti gli effetti rinascere. Ma una cosa è chiara: a prescindere dal fatto che si realizzi o meno, in questo “sogno cinese” non c’è spazio per il sogno tibetano.
Note al testo:
(1) Zhuge Liang 诸葛亮 (181-234 d.C.), è uno statista cinese vissuto alla corte di Liu Bei 刘备 (161-223 d.C.), sovrano dello stato di Shu 蜀. Siamo nell’epoca dei Tre regni, periodo di guerre e divisione della storia cinese, reso celebre da uno dei classici dell’epica cinese, Il romanzo dei tre regni (Sanguo yanyi 三国演义), di cui esistono anche riadattamenti televisivi e cinematografici, non ultimo il kolossal di John Woo 吴宇森. Zhuge Liang è ricordato soprattutto per le sue capacità strategiche, da qui nasce il riferimento fatto da Mao.
(2) Con l’espressione “fronte unito” si intende il periodo di collaborazione tra le autorità tradizionali tibetane, capeggiate dal Dalai Lama e dal Consiglio dei ministri o Kashag, e il Partito comunista cinese. Questa fase, contraddistinta dall’attuazione moderata di politiche riformiste, caratterizzò gli anni Cinquanta, dalla firma del controverso Accordo in diciassette punti nel 1951 all’esilio del Dalai Lama nel 1959.
(3) Meng Huo 孟获 è un altro personaggio storico dell’epoca dei Tre regni, celebre per la sua rivalità con Zhuge Liang, da cui fu catturato per ben sette volte prima che fosse stabilita un’alleanza tra il regno di Shu e le tribù barbare da lui guidate.
* L’articolo è stato redatto da Woeser per Radio Free Asia. La foto, tratta dal blog di Tsering Woeser, ritrae la folla di tibetani radunatasi nel marzo del 1599 intorno alla residenza estiva del XIV Dalai Lama, nei giorni immediatamenti precedenti all'esilio di questi.
* Editing a cura di Gabriele Battaglia
Tradotto da
Mauro Crocenzi, 15 Marzo 2013
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