Cinesi in Lesotho



Da dieci anni Yuan Yue è reporter di Sanlian Shenghuo Zhoukan. A settembre 2012 ha pubblicato il libro "Motore di terra guarda il mondo" (土摩托看世界 Tumotuo kan shijie), in cui sono raccolti gli articoli, gli aneddoti e le fotografie di questi anni di viaggio, con un occhio particolare ai comportamenti e le abitudini dei cinesi all'estero.

Quando ho visitato un piccolo villaggio in Lesotho ho conosciuto una guida di nome Tshidy, una caparbia ragazza di vent'anni.
Appena l'ho incontrata, non mi piaceva come si comportava con me. All'inizio pensavo avesse un brutto carattere, poi ho notato che invece era piuttosto carina con gli altri compagni bianchi, mentre con me era fredda. Succedeva la stessa cosa con gli altri abitanti locali: le donne del villaggio facevano a gara a farsi le foto con gli altri bianchi, ma nessuno sembrava interessato a fare foto con me. Per quanto mi mostrassi accogliente, la loro discriminazione era troppo evidente, non provavano neanche a celarla.

Poi siamo entrati più in confidenza. Consapevolmente o no, ho tirato fuori l'argomento dei cinesi che vivono in Lesotho. Non avrei immaginato che sarebbe stato come con la dinamite: pronta a esplodere solo a sentire la parola "Chinese" con la faccia che si è oscurata all'improvviso. La bomba non è scoppiata solo perché ero un suo cliente.
Alla terza volta che le assicuravo che non mi sarei offeso, ha sbottato: "Odio i cinesi, sono sempre pronti a tiranneggiarci. Il nostro presidente ama voi cinesi, tutto quello che abbiamo di buono lo dà a voi. E anche la polizia vi dà una mano a disprezzarci."
Mi ha detto anche che in Lesotho i cinesi hanno aperto molti stabilimenti tessili, ma che lo stipendio mensile degli operai, che spesso arriva anche in ritardo, è di soli ottocento loti. È successo anche che i boss se ne andassero con i soldi, lasciando ai locali una pessima impressione.
Spesso i centri commerciali aperti dai cinesi vendono merce scaduta. Una volta questa ragazza aveva provato a restituire la merce scaduta ed era stata cacciata in malo modo da un delinquente assunto dal negozio.
"Mio zio è morto dopo una disputa col proprietario di un negozio cinese. Ci siamo rivolti alla polizia, ma quel cinese se l'era comprata. La polizia non si curò di noi."

Ho aspettato che si calmasse un attimo e le ho chiesto la differenza tra i cinesi e gente di altre nazioni (per esempio gli indiani). Mi risponde: "I cinesi sono i peggiori! Mi piacciono gli indiani, i medio orientali, gli europei, gli americani...sanno come parlare con noi, sono molto amichevoli. I cinesi sanno solo maltrattarci, e non sono per niente onesti."
Disse proprio così, ma dato che serba risentimento, aggiungerei un punto interrogativo alla validità delle sue parole. In seguito ho incontrato un'altra guida, un ragazzo universitario, che durante le vacanze estive torna a casa a lavorare. Un ragazzo molto perspicace e cauto nel parlare. Alla mia terza domanda, mi ha finalmente espresso la sua opinione sui cinesi: "Forse gli imprenditori cinesi hanno qualcosa che non va, ma in ogni caso hanno portato molte opportunità di lavoro a noi lesothiani, il gettito fiscale è aumentato, dovrebbe essere una cosa positiva."




Non so chi dei due rappresenta meglio l'opinione che va per la maggiore sui cinesi, riporto solo quello che ho sentito, poi ognuno giudichi da sé. Ma so una cosa: tra gli imprenditori cinesi e i lesothiani c'è un sentimento complesso di gratitudine e risentimento.
Nel 1999 quando il governo statunitense ha adottato l'"Atto di crescita e opportunità per l'Africa" (AGOA) che puntava ad aiutare l'Africa a uscire dalla povertà, il Lesotho è diventato uno dei beneficiari di tale programma.
I prodotti degli stabilimenti tessili aperti da molti imprenditori cinesi e taiwanesi in Lesotho, potevano entrare ed essere venduti sul mercato Usa evitando le pratiche doganali. Secondo le statistiche, nel 2003 il 31 per cento dei prodotti tessili del mercato statunitense provenivano dal Lesotho, il totale dell'esportazione dei prodotti aveva raggiunto 456 milioni di dollari, rappresentando oltre 90 per cento del totale delle esportazioni del Lesotho.
Nel 2004 gli Stati Uniti hanno cancellato le restrizioni sull'importazione di prodotti cinesi. Dopo due giorni dalla pubblicazione della notizia, sei stabilimenti aperti dai cinesi sono andati in bancarotta, e i boss sono scappati coi soldi. Da allora l'industria tessile del Lesotho è collassata, e finora on si è ancora rimessa in piedi.
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Sono anni che faccio avanti e indietro, ho sempre fatto molta attenzione ai cinesi che vivono e lavorano all'estero. Nell'oscura Papua Nuova Guinea ho incontrato molti cinesi del Fujian che hanno aperto delle attività commerciali. Ci vuole coraggio e una buona resistenza alla solitudine per riuscire a sopravvivere in quel Paese.
Anche in Africa ci sono molti cinesi. Una volta ho mangiato con un gruppo di cinesi in Uganda; a quel tavolo erano mischiati segretari di ambasciate, proprietari di ristoranti, venditori ambulanti, direttori di fabbriche nonché prostitute sposate. Stavano bene, avevano tutti una casa, un'automobile, una domestica che si occupa di preparare il pranzo, lavare i panni e prendersi cura dei bambini. Ma tutti si lamentavano dell'inciviltà degli africani, che dicevano difficili da gestire, e tutti erano stati vittime di violenze e crimini.
In realtà anche io una volta ero un cinese all'estero. Quando nel 1992 andai negli Stati Uniti, scoprii con mio stupore che l'opinione degli americani sui cinesi derivava dagli immigrati delle regioni del Guangdong e del Fujian. Erano convinti che i cinesi fossero tutti magri e di piccola corporatura, con la pelle scura, e parlassero un inglese pessimo, tutti amanti delle arti marziali, e che potessero lavorare solo nelle lavanderie e nei ristoranti. Sono passati vent'anni, gli americani non la pensano più così, dal momento che molti cinesi laureati si spostano negli Stati Uniti per studiare. Ciò ha cambiato la composizione dei cinesi che risiedono all'estero. Ma questa tendenza non ha ancora preso forma in Africa; è per questo che gli africani odiano i cinesi, perché i cinesi che vivono lì sono di estrazione più bassa.




È interessante il fatto che così tanti cinesi abbiano scelto di andare a vivere all'estero. La Cina e l'Europa di qualche anno fa si somigliano molto, perché entrambe hanno contraddizioni interne in apparenza irrisolvibili. A ciò si aggiunga la limitatezza delle risorse naturali, che ha fatto sì che queste contraddizioni venissero trasferite all'estero. Giorni fa ne ho parlato con Li Honggu. Secondo lui, la differenza sta nel fatto che l'ondata di colonizzazione dell'Europa dell'epoca fu guidata dal governo, mentre quella dell'emigrazione cinese è popolare. Ciò rende le due tendenze diverse qualitativamente. Non posso confermare la prima, ma la seconda è assolutamente corretta.

La storia dimostra che quando una nazione si sviluppa fino a un certo livello, inevitabilmente vengono fuori dei conflitti relativi alle risorse interne. Quando questi conflitti diventano incandescenti, bisogna trovare una via d'uscita. L'Europa e il Giappone dell'epoca erano proprio così, avevano scelto di andare a colonizzare servendosi degli eserciti. Ora che però sono società civilizzate, hanno capito che è difficile andare avanti in questo modo. La via d'uscita che è venuta fuori è più popolare, alla maniera cinese. Questa condotta spontanea e popolare ha portato una massa di gente incivile a riversarsi in Africa. Questo è forse il motivo per cui alcuni africani non sono ospitali coi cinesi.
In realtà i cinesi, soprattutto quelli originari di grandi città, hanno un alto livello di civilizzazione, non solo più alto dell'Africa, ma neanche inferiore a quello di molte nazioni europee. Ma i cinesi hanno dei difetti mortali: hanno i paraocchi, sono introversi, amano i soldi, non capiscono la vita, non rispettano gli altri, non vogliono e non riescono a entrare in contatto con altre nazioni. Questi difetti rappresentano l'ostacolo maggiore per i cinesi che si incamminano verso il mondo.
Forse sono le agenzie competenti a doversi muovere più attivamente su questo punto, incoraggiando i cinesi più civilizzati ad andare a lavorare in Africa. È una terra bellissima, non deve far paura.

(Foto per gentile concessione dell'autore)

Tradotto da Lucia De Carlo, 27 Novembre 2012
 



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