Ye Tan, analizzando il caso di PetroChina, sottolinea come le distorsioni del mercato finanziario interno permettano ai grandi azionisti – e agli azionisti stranieri - dei colossi industriali cinesi quotati anche all’estero di realizzare grandi profitti a discapito dei piccoli investitori domestici. Sebbene quello di PetroChina venga indicato come un esempio di internazionalizzazione di successo, l’autrice dell’articolo fa notare infatti che la maggior parte degli investitori - i piccoli investitori – non solo non sta godendo dei frutti di tale successo, ma ne sta di fatto pagando i costi che sono sempre più insostenibili.
Il caso di PetroChina è già diventato il contrario di un esempio di successo nel mercato azionario di tipo A [azioni comuni denominate in rmb]; è diventato, al contrario, l’esempio lampante della tragedia di chi ha investito in questo tipo di azioni. A differenza della PetroChina come impresa, la PetroChina del mercato azionario non ha avuto successo. Pur registrando grandi risultati, non ha offerto nessun ritorno alla maggior parte degli investitori; inoltre, il valore delle sue azioni è estremamente distorto. Se questo è il prezzo da pagare nel processo di determinazione del valore delle compagnie cinesi di grandi dimensioni, è talmente elevato da non poter essere sostenuto.
L’ingresso nel mercato da parte di PetroChina ricorda la pesca; a fare la parte dei pesci sono stati, però, i piccoli investitori. Il 6 ed il 7 aprile del 2000, PetroChina, quotando le sue azioni a New York – con l’emissione di certificati di titolo a custodia [American Depositary Shares, ADS] - e a Hong Kong , è diventata la prima compagnia statale, controllata dal governo centrale, ad accedere ai mercati esteri. Il 5 novembre del 2007 è sbarcata sul mercato nazionale. Le azioni di tipo H sul mercato di Hong Kong erano valutate a 1,27 dollari di Hong Kong; le azioni di tipo A emesse nel mercato interno erano valutate a 16,7 rmb. Nel giorno del suo ingresso nel mercato nazionale, il prezzo di apertura ha velocemente raggiunto quota 48,6 rmb.
Quando il tasso di cambio tra rmb e dollaro americano è rimasto stabilmente molto alto, la differenza tra i prezzi di vendita nei due mercati è stata superiore a 10 volte. È un miracolo assoluto, che può solo portare a due conclusioni: PetroChina nel mercato dei capitali all’estero non ha affatto il potere di determinare il valore delle sue azioni; il sistema nazionale di determinazione dei prezzi è fortemente distorto. Tale distorsione fornisce potenzialmente un ampio margine per frodi del tipo “Pump & Dump” o per forzare i prezzi al ribasso e vendere allo scoperto (1)
Prima dell’emissione di azioni di tipo A da parte di PetroChina, i mercati esteri hanno subito una improvvisa impennata delle quotazioni. Il 20 settembre 2007 la China Securities Regulatory Commission [l’ente statale regolatore dei titoli] ha annunciato che, di lì a quattro giorni, il Comitato di verifica dell’emissione dei titoli avrebbe convocato un’udienza per esaminare la richiesta di offerta pubblica iniziale per azioni di tipo A presentata da PetroChina. Le azioni di tipo H di PetroChina hanno cominciato a salire; quando queste hanno raggiunto quota 20 dollari di Hong Kong, il prezzo di quelle di tipo A è arrivato alle stelle. Evidentemente, questa è una forma di controllo sui prezzi delle azioni esercitata dai mercati esteri sulle compagnie domestiche; funziona esattamente allo stesso modo con compagnie come China Life.
Dato che la credibilità non è mai un fatto scontato, le grandi compagnie quando accedono ai mercati esteri devono fornire garanzie extra. PetroChina ha garantito prezzi bassi e dividendi. Ciò che ha attirato Buffet è stata la capacità di PetroChina di garantire dividendi in contanti pari al 45 per cento del profitto netto annuale. Ci sono due tipi di investitori che hanno effettivamente ricevuto dividendi: uno è rappresentato dagli investitori esteri che detengono da lungo periodo azioni di PetroChina; questi, grazie ai dividendi in contanti, sono rientrati dei costi ed hanno ottenuto profitti netti. Negli ultimi quattro anni i dividendi all’estero di PetroChina, Sinopec, China Telecom, China Unicom hanno raggiunto i 700 miliardi. Dal suo ingresso nel mercato fino a oggi, PetroChina è stata considerata all’estero come “il gigante sciocco”, dato che, oltre ad ottenere risultati sorprendenti, ha anche offerto garanzie.
Per questo, nel mercato azionario americano mostra una relativa stabilità. Fatta eccezione per la fine del 2007 e l’inizio del 2008, quando ha subito l’improvvisa impennata dei prezzi del petrolio a livello mondiale, il prezzo delle azioni di PetroChina è cresciuto in maniera costante. Il secondo tipo è rappresentato dai grandi investitori: il gruppo PetroChina detiene l’assoluta maggioranza delle azioni in circolazione - pari all’86,35 per cento del totale -, il che è come dire che la stragrande maggioranza dei dividendi in contanti confluisce nel gruppo PetroChina. Alla fine, nessuno ti regala niente. Gli investitori domestici comuni, che comprano a prezzi elevati, subiscono una duplice perdita dovuta al prezzo delle azioni e ai bassi rendimenti. Anche nel caso in cui il valore di mercato subisce un calo del 60 per cento, i grandi investitori continuano lo stesso a guadagnare stabilmente senza subire perdite. PetroChina, con la vendita a prezzi elevati di grandi quantità di azioni di tipo A, ha annacquato gli utili di ogni azione; gli investitori stranieri, con in testa Buffet, sono usciti uno dopo l’altro da PetroChina, mettendo al sicuro i profitti.
Il precedente di PetroChina può facilmente far tirare erronee conclusioni. Tra queste, una è che le istituzioni straniere sono troppo furbe e che quindi le compagnie nazionali non dovrebbero andare sui mercati esteri. La Cina non dovrebbe nemmeno aprire il suo mercato azionario alle società straniere, permettendogli di venire a sottrarre denaro cinese. Una logica di questo tipo farebbe, tuttavia, riprendere al mercato cinese la vecchia strada della chiusura.
I motivi per cui gli investitori in azioni di tipo A sono stati così gravemente ingannati dalle azioni di PetroChina devono ricercarsi nel fatto che il sistema di determinazione del loro valore è distorto e i profitti dei piccoli e dei grandi azionisti sono generati in maniera diametralmente opposta. A giudicare dall’andamento giornaliero, la determinazione dei prezzi da parte delle istituzioni straniere risulta evidentemente più accurata.
Quello che serve è calibrare il sistema di determinazione dei prezzi del mercato di azioni di tipo A, facendo sì che questo, che attualmente è eccessivamente soggetto ad errore, migliori in termini di accuratezza. Non lasciamoci accecare dai profitti ottenuti dagli investitori stranieri con PetroChina. Se, ad esempio, ogni azione sul mercato di Hong Kong venisse scambiata a 10 dollari di Hong Kong, PetroChina certamente guadagnerebbe molto di più; come conseguenza, ci rimetterebbe un numero maggiore di investitori. Tuttavia, gli investitori domestici non hanno modo di fare profitti.
I legislatori hanno ricevuto una chiara lezione: le azioni vanno prima emesse sul mercato interno e solo dopo sui mercati esteri, al fine di controllare la determinazione del loro valore. Inoltre, il fatto che i partner cinesi delle quattro grandi agenzie contabili siano diventati un’istituzione rigida rappresenta un piccolo passo avanti.
Ciononostante, gli investitori che fanno profitti sono ancora una rarità. Il sistema, distorto, di definizione dei prezzi del mercato delle azioni di tipo A non è autorevole, e questa sua deficienza ha ulteriormente indebolito la sua competitività nel determinare i prezzi a livello internazionale. Per questo motivo, sulla base dei prezzi determinati dal sistema di mercato, l’unico modo per spezzare la catena degli interessi è pubblicare informazioni complete e dettagliate.
Un’altra erronea conclusione sarebbe quella di chiudere la porta e impossessarsi del proprio denaro, ritenendo che impossessarsi del denaro degli investitori sia una grande strategia per sviluppare l’economia cinese e che rappresenti un bene per il suo futuro.
Oltre a rispettare il mercato, è necessario averne un’idea corretta. Il mercato azionario è finalizzato ad ottimizzare l’allocazione delle risorse, non è pensato per permettere ai grandi azionisti di arricchirsi ulteriormente. Non è assolutamente un fatto positivo che una compagnia, che non ha alcuna esperienza sul mercato, dall’oggi al domani entri in un mercato da mille miliardi e diventi di colpo la prima nel panorama mondiale. Ancora peggio di questo è che, per far soldi, questa stessa compagnia non esiti ad emettere azioni a basso costo all’estero, consapevole del fatto che essere grandi azionisti è un’attività che garantisce grossi guadagni con il minimo investimento. Se da un lato permette agli azionisti stranieri di guadagnare un po’, dall’altro tiene per sé la fetta più grande, tanto chi ci rimette, alla fine, sono gli sciocchi piccoli e medi investitori.
Bisogna fare attenzione nel fare questi calcoli, il mercato si sta vendicando paralizzandosi. Anche i magnati internazionali dell’energia ricevono dividendi; gli investitori europei preferiscono i dividendi in contanti. Le grandi compagnie di risorse energetiche europee tengono conto di queste preferenze: il tasso d’interesse delle azioni di Shell è pari al 4,2 per cento, quello di Total è pari al 5 per cento. Il settimanale Barron’s riporta che le grandi imprese del settore energetico iniziano a fare attenzione alle richieste degli investitori per dividendi più elevati. Chevron negli ultimi 12 mesi ha aumentato per due volte il tasso d’interesse sulle sue azioni. Attualmente le sue azioni sono vendute a 109 dollari americani, mentre il loro tasso d’interesse è pari al 3,3 per cento. Ultimamente, perfino Exxon Mobile ha aumentato gli interessi sulle sue azioni, raggiungendo un tasso del 2,7 per cento, ed è molto probabile che entro la fine dell’anno lo alzerà nuovamente.
Avete notato che attualmente il tasso d’interesse di PetroChina non arriva al 3 per cento? In realtà non vale la pena arrabbiarsi più di tanto per questo, non sono i dividendi il vero problema. La sottrazione di denaro ed i costi esorbitanti, le ambigue transazioni tra soggetti collegati ed il fallimento nella sfida delle nuove fonti energetiche, sono questi i grandi problemi.
1. Pump & Dump vuol dire far gonfiare artificialmente i prezzi speculando sui piccoli investitori, mentre la vendita allo scoperto, “short” in gergo, indica un’operazione finanziaria prettamente speculativa in cui si vendono a terzi titoli non direttamente posseduti, sfruttando a proprio vantaggio una fase discendente dei mercati azionari
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