High Tech, Low Life è il titolo del documentario del regista Stephen Maing che racconta le vite quotidiane e le iniziative di due dei principali attivisti della rete cinese, Zuola e Laohu miao.
Il film verrà presentato al pubblico italiano il prossimo ottobre, nell'ambito dell’edizione 2012 del Festival di Internazionale a Ferrara.
Proponiamo alcuni estratti dal blog di Laohu miao sul documentario e il significato di essere blogger in Cina.
Proiezione di "High tech, low life" al Tribeca Film Festival
Oggi alle dieci (orario di Pechino) presentazione del documentario "High tech, low life" su me e Zuola (che attualmente risiede a Taipei) al Festival del cinema di Tribeca!
Il documentario è il risultato degli ultimi cinque anni di riprese del regista americano Stephen Maing che ci ha seguito dal nord al sud della Cina fino a Taiwan, penetrando deserti, praterie e la campagna dell'ovest. Il film documenta la vita e il lavoro mio e di Zuola, definiti citizen reporter. Quello che potete vedere qui è il trailer, spero di potervi far vedere presto tutto il film.
Ribadisco: il sottoscritto non si riconosce nella denominazione citizen reporter; la formula esatta dovrebbe essere "annotatore". Le due espressioni sono diametralmente opposte, poiché ora con internet siamo tutti "annotatori" e l'interpretazione "citizen reporter" non regge.
(20 aprile 2012)
Raccontare la campagna in bicicletta
Sono un amante della bicicletta. Non avrei immaginato che un giorno avrei assecondato questa passione, anche se non ho avuto altra scelta. All'inizio andavo in bici per entrare senza troppo rumore nei villaggi contadini; non avevo neanche l'equipaggiamento e l'abbigliamento appropriati per la bicicletta né il casco, che sarebbero apparsi troppo vistosi e avrebbero disturbato i contadini di quelle zone remote.
Nel 2011 il mio viaggio in bici era dovuto anche al nervosismo delle autorità per "la rivoluzione dei gelsomini"; anche se non partecipai, ero stato classificato come elemento pericoloso e la mia abitazione era stata ispezionata. Non mi rassegnavo ad essere umiliato: ho preferito partire. L'obbiettivo dei miei interessi sul lungo periodo è la campagna, è questa la mia aspirazione.
C'è un altro motivo: sono stanco di nascondermi nei forum in città a discutere vagamente del mondo. Volevo andare in campagna e vedere villaggi veri.
La solitudine del blogger
La Cina, soprattutto il governo, non è pronta a internet. Non immaginano neanche il ruolo di internet. Il motivo per cui tempo fa ero stato definito dai media cinesi "il primo cittadino-reporter" è perché i blog dell'epoca equivalevano a diari personali. Nessuno pensava di usare il blog (all'epoca non c'era ancora weibo) per intromettersi in questioni sociali pubbliche.
Anche per me è stato del tutto casuale; solo in seguito ho realizzato pian piano il ruolo mediatico del blog: viste le sue proprietà, era come un "blog di tutti". Tutti quelli che partecipano a questioni sociali possono supervisionare le notizie.
Quello che viene fuori dal documentario è vero e la realtà va anche oltre. Ma non si tratta di qualcosa che posso inseguire. Sono abituato al mio carattere asociale e solitario, ma sono disposto a entrare nella collettività. Sicuramente non sono disposto a mettere a rischio la mia famiglia con le mie azioni. Per questo a malincuore gli nascondo alcune cose. Quando la polizia mi portò fuori Pechino, cercarono prima mia madre: questa condotta così meschina mi ha fatto ribollire di rabbia. Mia madre è abbastanza in là con gli anni, ma loro non fanno assolutamente attenzione a ciò. Fortunatamente è una donna forte, e quando mi vide tornare da Pechino a Xi'an, la prima cosa che mi ha detto è stata: "Di cosa hai combinato la polizia non può rispondere nulla." Quindi mia madre disse che voleva andare a chiedere a Xi Jinping. Naturalmente erano parole pronunciate dalla rabbia. Ma dimostrano la sua risolutezza. E mi fanno sentire ancora più in colpa. È da solitari portare avanti quello che faccio, spesso bisogna farlo in segreto. È inevitabile, ma non è dovuto a mie intenzioni né al mio carattere.
Dare voce
Dal contatto con i senza tetto è nato un affetto, completamente diverso dalla simpatia che avevo inizialmente. Non dico che anche io sono un senza tetto. Essere un senza tetto ha un significato specifico: significa non avere casa, soldi, fonti di guadagno o avere fonti di guadagno instabili. La perdita della casa è la premessa. Il mio compito è darne notizia, per suscitare l'attenzione di sempre più persone. Perché so che io da solo non basto.
Quando ho iniziato a seguire la vicenda dei senza tetto di piazza Tian'anmen erano in pochi a farci attenzione. Per questo penso di avere una certa responsabilità. Raccontare i senza tetto di Tian'an men era una cosa che avevo particolarmente a cuore, perché in questa piazza, conosciuta come la più grande del mondo, in realtà potevano succedere cose del genere. Ciò viola i principi dell'uguaglianza degli esseri umani. Se non lo rivelo è probabile che resti nascosto, ne sono responsabile.
Riguardo ai principi del fare informazione, mi ritengo un profano. Racconto, senza poter fare a meno di inserire le mie opinioni e persino i miei sentimenti, la mia rabbia, la gioia o il dolore.
Per questo in fin dei conti non sono un giornalista, e neanche un netizen journalist. Non ho neanche i requisiti per effettuare delle seconde indagini. Mi basta dare voce al grido di ingiustizia dei senza tetto, non importa se parziale o persino unilaterale.
Poi il compito di distinguere la verità sui fatti lo passo al governo, gli amministratori della giustizia o a giornalisti di professione.
Dopo tutto non sono giornalista, non percepisco neanche una paga per fare il giornalista.
[Foto di copertina: High Tech, Low Life]
Tradotto da
Lucia De Carlo, 18 Settembre 2012
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