La seconda generazione di migranti



Il problema più attuale in Cina, quello alla base dello scoppio dei numerosi incidenti di massa di cui riceviamo periodicamente notizie, è legato alla terra, cioè agli espropri previsti dai piani urbanistici che da decenni immaginano edifici massicci per le città cinesi del futuro e alle scarse compensazioni che vengono accordate ai contadini obbligati a sgomberare la terra. In campagna lo sviluppo e la prosperità arrivano con ritardo rispetto alle zone costiere e alle città, ma arrivano. E questo fenomeno di espropri e di conseguenti ingiustizie si estende a tutto il paese lasciando le nuove generazioni di cinesi in un limbo infernale che li blocca tra città e campagne. Di questo parla Chen Jibing, delineando i tratti della situazione che i figli dei lavoratori migranti, oggi, si trovano spesso ad affrontare.


Il post è stato scritto il 23 maggio 2012.

A fine aprile 2012 Song Xiaowu, direttore dell'Istituto di ricerca sulla distribuzione del reddito in Cina, da poco aperto presso l'Università Normale di Pechino ha affermato che, in base ai dati raccolti, negli ultimi anni numerosi governi locali hanno cambiato la classificazione della terra da proprietà collettiva, a proprietà statale. Così facendo, sono riusciti ad ottenere enormi profitti dopo la vendita.

Allo stesso tempo il guadagno dei contadini che abitano o lavorano quelle terre è solo un decimo di quello degli imprenditori immobiliari e del governo stesso. E' questo ad aver fatto sì che in Cina oggi, esistano circa quaranta milioni di contadini che hanno perso la loro terra.

Song Xiaowu, ha analizzato i dati a sostegno di questa tesi e ha dimostrato che tra le nuove generazioni di contadini comprese tra i 16 e i 30 anni, più di un terzo già non riesce più ad ottenere il contratto per l'assegnazione della terra, né tanto meno ad avere terra sufficiente per costruire casa. Inoltre, tra questi contadini di seconda generazione – che non possono neanche ottenere il permesso di residenza nelle città – solo meno del 10 per cento vuole tornare a vivere in campagna.

Forse non è corretto pensare che la causa è nel fatto che questi giovani non hanno neanche un pezzo di terra, ma tra le due questioni c'è sicuramente uno stretto legame. O possiamo cambiare punto di vista: se i contadini, in cambio della terra che lasciano ricevessero un'equa compensazione,  potrebbero lasciare le campagne e forse trasferirsi in una città, mettere su un'attività con cui guadagnarsi da vivere; potrebbero cambiare il proprio permesso di residenza e diventare residenti urbani a tutti gli effetti. Sarebbe ben diverso dalla situazione attuale in cui i migranti continuano a vagare nelle città come lavoratori temporanei.

Alla porta del complesso residenziale dove vivo c'è da tempo un mercatino, ne ho memoria da almeno dieci anni. I proprietari sono una coppia di mezza età migrata anni fa dall'Anhui; oggi l'attività è passata al figlio e sua moglie, una coppia di meno di 25 anni. Negli ultimi dieci anni, giorno dopo giorno hanno riciclato qualsiasi cosa riciclabile per ricavarne denaro. Compresa tutta la carta gettata continuamente da un giornalista come me. [...]

In questo mercatino che sembra non cambiare mai, gli unici cambiamenti sono stati i loro volti, l'età e il loro aspetto esteriore. Un bel giorno dello scorso anno quando ho visto il ragazzo dell'Anhui con un paio di jeans strappati alle ginocchia e sul sedere e sua moglie con l'ombelico di fuori sono rimasto un po' sorpreso. Mi sono subito imposto una seduta di autocritica in nome della "giustizia politica". Perché quesi giovani contadini non potrebbero seguire la moda cittadina? L'avevano assorbita velocemente.

Una primavera fa gli scioccanti suicidi della Foxconn mi hanno spinto a riflettere nuovamente e seriamente sul profondo significato contenuto dietro tale cambiamento. […] In questo momento sono davvero convinto che a farli crollare non è stata né la vita troppo dura né l'indifferenza. È stata la perdita di prospettive positive che li ha spinti a buttarsi dal tetto.

La prima generazione di contadini cinesi arrivati nelle città per la politica di Riforme e apertura apparteneva veramente alle campagne dei villaggi d'origine. Pensavano in modo semplice: lavorare in città per qualche anno, mettere da parte qualche soldo, tornare nel paese natio. Ma questo è ormai un cimelio: il pensiero di “avere una casa dove tornare", ha sostenuto il loro edificio spirituale nella sua interezza permettendo loro di resistere tenacemente grazie a un'incredibile capacità di sopportazione.

Ma i tempi cambiano di continuo. Soprattutto nella Cina di oggi. Il "calore del focolare" proprio della prima generazione di lavoratori migranti, non ha nulla di nostalgico o affascinante per i loro figli e le loro figlie.

In fondo al loro cuore, forse, queste strane città riescono a custodire meglio l'identificazione di un io confuso e anche un poco ignaro…. La nostra piccola coppia dell'Anhui oggi può vestirsi con la  pancia scoperta ed esprimere la sua tensione verso le mode cittadine. La città, comunque, non li accoglierà.

In ogni società non tutti possono essere soddisfatti allo stesso modo. Una società equa dovrebbe dare ai suoi membri almeno una speranza, quella di poter ricordare di avere avuto un'occasione, impegnegnadosi, di entrare a far parte della comunità per avere una vita come quella di tutti gli altri. Ma per i "lavoratori migranti di seconda generazione", anche questa è una speranza assurda a cui non osano aspirare. Di sarcastico c'è che proprio qui è nascosto il profondo mistero della competitività del cosiddetto "Made in China".

Se si guarda lo sviluppo storico, l'industrializzazione e l'urbanizzazione sono orientamenti irresistibili. La società dovrebbe  indirizzare queste genti alle città. Qui infatti  prestano i loro servizi e queste sono l'oggetto dei loro desideri.

In realtà per risolvere questo problema il governo non dovrebbe nemmeno fare troppo. Basta permettere ai contadini stessi di vendere liberamente sul mercato i diritti di uso della terra in loro possesso. Proprio perché non esiste un mercato libero di scambio, non può esistere neanche la cosiddetta equità nei prezzi e nei rimborsi ai contadini.

Il motivo per cui i governi locali ad ogni livello non concedono la libertà di scambio è chiara: cercano di impossessarsi del profitto che spetterebbe ai contadini. [...]

Chiudo gli occhi. Immagino decine di milioni di giovani, Uomini e donne che lavorano a tempo determinato nelle città. Giorno dopo giorno, eppure in un attimo, hanno perso l'età per sposarsi e fare figli. Non hanno una casa ma non sono in grado di tornare nelle campagne... come andranno avanti? Oggi sono lontani dall'arrivo di quel giorno. Forse non passeranno nemmeno dieci anni.

[Foto di Tania Di Muzio]

Tradotto da Tania Di Muzio, 11 Settembre 2012