La fede non è un discorso vuoto


2012 Mag
09

La fede non è un discorso vuoto
信仰不是空谈 di Han Dong ( 韩东 )


Il post che abbiamo tradotto dal blog, scritto nell'aprile del 2010 ma ancora oggi precisamente attuale, è una riflessione sull'uomo e su come la questione della fede e della religione è affrontata in Cina. Infine è un appello che dà voce al dolore della Cina: è questo che spinge sempre più persone nell'impero di mezzo ad avvicinarsi in particolare alla religione cristiana, la religione dei miserabili.
La questione della fede non riguarda solo il vuoto [spirituale] ma anche il dolore. C'è chi dice che chi non ha Dio non ha regole. Sembra che la fede sia vincolante o forse, più semplicemente, è un vincolo.



La fede ha a che fare con le aspirazioni spontanee e con la condizione naturale dell'uomo. La religione è nata per la vita umana e per il dolore, è un supporto per le persone che di fronte alla vita terrena, sono alla ricerca di risposte e di conforto.

In Cina oggi non esiste una fede condivisa né una religione di Stato diffusa e ufficiale. Per questo c'è chi sostiene che i cinesi non hanno un Dio, quasi come se non esistesse nessun virus in grado di attaccarci.

Ma il dolore esiste anche qui e in questo momento storico particolare, il dolore appare tanto più profondo. Perciò il bisogno di fede, come minimo, si può considerare un fattore universale.

Negare questo bisogno significa negare il dolore, ovvero considerare la questione della fede come un prospetto senza però considerare le sue radici.

Forse gli intellettuali pensano che la religione sia un modo per riempire un vuoto ed elevare la vita, ma per la maggior parte delle classi più basse la religione diventa un grido liberatorio.

Se si vuole parlare realmente della fede dei cinesi, oppure della questione della fede in Cina, si deve partire da questo bisogno.

Per quanto ne so ogni grande religione conta sull'universalità e si dice portatrice di una verità assoluta. Questa verità assoluta non è in funzione del valore universale della dottrina.

Le masse delle classi più disagiate sono più difficilmente sensibili alla verità assoluta  per le limitazioni dell'ambiente e del livello culturale, perciò la loro fede assume sfumature che vanno dalla superstizione all'idolatria. Ma non possiamo concludere che, per questi motivi, a loro manchi totalmente la fede oppure che la loro fede manchi di senso.

Marx diceva che la religione è l'oppio dei popoli. L'oppio mitiga il dolore. Sebbene non possa risolvere alla radice il problema, almeno allevia il dolore. La gente brucia incensi e si inginocchia, prega inchinandosi fino a sbattere la testa in terra, crede al fato, ma questo ha una causa e dimostra la speranza che si ripone nella religione.

In fondo non è possibile morire senza dubbi. Negare anche il sollievo al dolore è una cattiveria bella e buona. La religione in fondo è un placebo per le persone, un antidolorifico, ma comunque è assolutamente indispensabile.
[…]

Gli intellettuali sono affezionati alla teoria della discussione metafisica e con arroganza rigettano e generalizzano la fede delle masse riducendola a superstizione. Inoltre è questo che fa sì che la questione della fede sia in ultima istanza un concetto confuso sul nulla e qualche chiacchiera vuota.

La religione invece non è un concetto, è una verità, una verità soprannaturale, ma è anche una verità reale. Se non ci fosse il dolore non esisterebbe il bisogno della fede; in assenza di un corpo e di uno spirito pronto a ricevere il dolore, la fede non sarebbe così diffusa.

In una società materialista ed estremamente ricca, la fede causata dalla vacuità potrebbe diventare una moda o un ornamento. Di questo trend ne abbiamo già sentore in certi ambienti.

Ovviamente la fede "ad alti livelli" possiede la verità assoluta. Marx oltre ad aver detto che al religione è l'oppio dei popoli, ha anche fatto un'affermazione esaustiva: la religione è l'anima di un mondo senza cuore.

La religione è il sentimento di un mondo che non ha sentimenti, è l'amore di un mondo senza amore. In altre parole non è una cosa prodotta da questo mondo, ma viene da fuori, è soprannaturale.

Per alcuni la ricerca su questa terra porta lavoro, amore,  forza, soldi, potere e conoscenza, ma per altri non rimane che invocare la benedizione delle divinità. Sono, senza eccezioni, tutte adorazioni di un idolo, tutte simulacri della verità assoluta.

La differenza sta nel fatto che coloro i quali cercano e non hanno determinate condizioni materiali, possono contare sull'auspicio e sui presagi della loro religione, grazie alla quale si sentono della stessa origine e stirpe. La superstizione è solamente la fase iniziale della religione.

Per quelli che invece hanno certe condizioni materiali o sono benestanti, la soddisfazione è certa ma non è direttamente proporzionale ai desideri. Solo dopo la decadenza di quegli idoli materiali (terreni), si potrebbero avvicinare alla religione.

I passi dei benestanti sono lenti, hanno bisogno di un tempo maggiore anche se c'è la possibilità che i loro obiettivi siano più chiari. Dall'altra parte chi non ha le condizioni, o è povero, affronta direttamente questo bisogno, sebbene l'oggetto della fede possa apparire in un altra forma o in modo volgare.

Nella Cina antica, prima del comunismo, la maggior parte dei seguaci della fede buddista erano i miserabili, mentre  quelli che seguivano Gesù erano quasi tutti benestanti o onorevoli - come Chiang Kai-shek e sua moglie Song Meiling.

Questo fenomeno era dovuto all'assimilazione della dottrina buddista nella tradizione cinese. Al contrario il cristianesimo aveva a che fare con il potere occidentale, rappresentava l'orientamento verso il progresso e le nuove tendenze.

Ma la situazione odierna in qualche modo è diversa. Dopo la rivoluzione comunista, la fede, che sia essa cristiana o buddista, è tornata ad un punto di inizio singolare, se non completamente inedito.

Oggi molti poveri credono in Gesù e molti ricchi tendono verso il buddismo. Questo succede perché, fondamentalmente, il cristianesimo non è altro che la religione dei poveri.

La dottrina si diffonde raccontando storie – le parabole – che commuovono milioni di fedeli insieme alla vita di Gesù – vita e morte. Buddha invece prima di diventare un monaco era un principe e le scritture buddiste assumono un carattere discriminatorio, fatto di sottomissione e razionalità.

Oggi molti intellettuali amano intervenire sulla meditazione e sull'anima parlando di buddismo. Se molte stelle del cinema e della tv e sempre più personaggi pubblici si convertono, non è un caso.

Anche la tendenza delle classi povere verso Gesù non è casuale. Tanti anni fa, una ragazza del villaggio dove ero stato mandato, a causa del declassamento, è venuta a Nanchino. Quando le ho chiesto del paese, mi ha detto: Adesso crediamo in Giasù. Parlava dialetto e all'inizio non ho risposto. Un attimo dopo ho realizzato che Giasù era Gesù. Allora le ho chiesto: Perché credete in Giasù?. Lei ha risposto: Giasù può curare i mali. Se credi, le malattie guariscono.

Per caso quest'anno ho fatto un giro nelle periferie di Nanchino e ho visto tante chiese dall'aspetto particolare, che pare siano state costruite dai contadini con i loro soldi. Il fumo dell'incenso usciva da quelle chiese, la gente si inginocchiava in preghiera proprio come si vede nei monasteri o nel tempio del dio della terra.

Non sono i modi con cui i meno abbienti dimostrano la loro fede che questa si può ridurre a superstizione, né si può pensare che qualsiasi religione che arriva in Cina si fonda sulla superstizione.

C'è sempre un certo bisogno di fede che trova le sue radici nel dolore. Questa esigenza è realmente sincera. Forse non abbiamo una religione di stato, né un credo diffuso a tutta la popolazione, ma abbiamo di certo la grande energia dei frutti della fede, abbiamo il terreno fertile fatto di dolore da cui dipende la sua esistenza. È un problema non gradito con cui ci dobbiamo confrontare. Altrimenti cosa riempirebbe questo vuoto? Questa è un'altra questione.


[Foto Credits: "Divinità.." di Fan Shisan 范石三 su Zaijietou.com ]



Tradotto da Tania Di Muzio, 09 Maggio 2012