Nel post che presentiamo, del primo febbraio 2011, Mok analizza il ruolo dei social network nell'ondata di proteste cui stiamo ancora assistendo sull'altra sponda del Mediterraneo, invitando a non guardare il dito ma la luna, ovvero quella parte di società che ascolta, osserva e riporta quanto succede nei paesi arabi, usando le nuove tecnologie come efficace mezzo di espressione civile.
Le rivoluzioni dei social network
Dalla Tunisia all'Egitto. I paesi islamici del Medioriente e dell'Africa del nord, uno ad uno, hanno visto ondate di rivolta che in alcuni casi hanno portato alla caduta del regime di turno. [...] Seguiranno le orme dei paesi comunisti dell'Europa dell'est, collassando uno dopo l'altro, oppure no?
Di fronte a questi fatti improvvisi, la comunità internazionale pare non trovare nelle rivolte grossi segnali di movimenti politici, mentre i media occidentali li descrivono senza pensarci troppo su, etichettandoli come rivoluzione dei social media. [...]
Il Global Post online ha titolato: I social media in pochi giorni hanno messo fine ai 54 anni del regime dittatoriale [tunisino, ndr]. Anche i media tradizionali, come il Los Angeles Times, il Washington Post, Wired e altri, considerano il successo delle rivolte in Tunisia come un successo per i social network: Wikileaks ha diffuso documenti riguardanti lo spreco di fondi pubblici poi insabbiati dall'ex presidente Ben Ali. Così è stata innescata la miccia delle manifestazioni e la situazione è esplosa.
Ma allora è stata la rivoluzione di Twitter o di Wikileaks? Beh, nessuna delle due. Ethan Zuckerman di Foreign Policy scrive: In qualsiasi cambiamento politico su larga scala, dare credito ad un unico fattore – che sia la scienza, l'economia o altro – non porta a un'analisi corretta. L'importanza dei social media non è nel fatto che questi entreranno nella storia. Sono i reporter, gli osservatori e gli ascoltatori; quei blogger e quei giornalisti civili che usano la scienza e le tecnologie per dare vita a una “prima linea”. In sostanza, non è possibile comprendere appieno l'importanza dell’intera questione se ci si limita ad individuare nel mezzo il protagonista principale.
La rete egiziana è stata completamente controllata dal governo.
Il ruolo giocato dai social network in Egitto durante la protesta e la storia in sé sono tutti fatti molto affascinanti. I dimostranti hanno fatto un uso pianificato e organizzato di internet e delle reti sociali, come l’hashtag di Twitter @25janVoices, che è diventato il punto di riferimento per la diffusione delle notizie.
Le diffusioni dei documenti poi è stata pensata molto attentamente. Il piano d'azione Protestare con intelligenza1 spiega chiaramente l'appello del popolo egiziano e gli obiettivi strategici della disobbedienza civile: il piano delle dimostrazioni in piazza e delle sfilate, cosa indossare per proteggersi, quali messaggi scrivere e altro. Ci si trova perfino la richiesta di non diffondere quei documenti su internet, dato il controllo del governo sulla rete stessa. Consigliano di farlo a mano dopo averli stampati, per evitare che la polizia ne entri in possesso!
Dal 25 gennaio, il governo egiziano ha però cominciato a bloccare i siti web; Ha cominciato con Twitter, poi Facebook e infine ha tagliato le connessioni e l'intera rete. Le autorità egiziane hanno dato ordine ai quattro server principali (Link Egypt, Vodafone/Raya, Egypt Communicaon e Etisalat Misr) di sospendere il servizio. Dal 27 gennaio, sulla rete mondiale, i server egiziani non danno più segni di vita2; poi si è scoperto che erano stati bloccati più di tremilacinquecento BGP3. [...]
Gli esperti – la governance delle aziende del settore ma anche gli attivisti e i movimenti che lottano per la libertà di espressione – credevano che la chiusura totale della rete potesse essere un'arma di distruzione di massa! Sebbene alcuni media occidentali riportino questo fatto come un precedente assoluto, sappiamo bene che due anni fa dopo i disordini nella provincia dello Xinjiang, proprio in Cina, il governo ha usato lo stesso metodo. Ma ha impedito l'accesso a internet nella regione, non certo all'intero paese.
Dopo la chiusura di internet, i dimostranti hanno provato a rimanere connessicon qualsiasi mezzo, ma neanche il dialup attraverso server stranieri ha funzionato. [...]
Il blocco di internet non aiuta a risolvere i bisogni della rivolta economica e politica.
Dopo quanto successo in Egitto, molti gruppi e aziende occidentali hanno fatto dichiarazioni in supporto della libertà di espressione. Un comunicato della Internet Society, che rappresenta i diritti e gli interessi dei netizen di tutto il mondo, ha denunciato che i mezzi usati dal governo egiziano e la chiusura della rete sono inappropriati per risolvere la crisi politica. Violano seriamente i diritti fondamentali dell'uomo nel campo delle comunicazionie non aiutano a risolvere le cause alla base del malcontento popolare4.
Il 25 gennaio scorso, Twitter ha pubblicato un post in cui5, afferma chiaramente che uno scambio di informazioni aperto ha un impatto positivo sul mondo, questa è la nostra convinzione dal punto di vista morale e pratico. Twitter crede alla libertà di espressione, e in questo è implicito l'obbligo di proteggere il diritto di libertà di espressione dei propri utenti e opporsi a qualsiasi possibilità di revisione dei dati e dei materiali privati. Molti gruppi della società civile hanno puntato il dito contro la Vodafone, accusata di anteporre i profitti alla morale avendo sospeso i servizi di internet e di telefonia mobile in accordo con le leggi egiziane.
Tutto ciò non è certo nulla di nuovo per noi netizen cinesi. Dai filtri alla chiusura della rete nulla ci è nuovo [...].
I lontani dimostranti egiziani hanno spaventanto il governo e la polizia del web cinese al punto che sui microblog la parola Egitto è stata bandita.
Più continuano ad agire in questo modo, più dimostrano che effettivamente lo Stato ha seri problemi. Se non si affrontano questi nodi sociali profondi con riforme politiche, economiche e sociali appropriate, il malcontento del popolo non sparirà.
In Tunisia e in Egitto è stato così. E così sarà anche in Cina.
(1)«Piano d'azione degli attivisti egiziani» tradotto in inglese da Alexis Madrigal (The Atlantic Monthly) http://www.theatlantic.com/international/archive/2011/01/egyptian-activists-action-plan-translated/70388/ (2) Quest'articolo è stato scritto il 1 febbraio 2011. (3) Border Gateway Protocol, permettono ai router di scambiarsi le informazioni, ndr. (4)«Sulla chiusura di internet in Egitto », The Internet Society, in inglese:http://isoc.org/wp/newsletter/?p=3091 (5) «The Tweets Must Flow», Twitter Blog , in inglese: http://blog.twitter.com/2011/01/tweets-must-flow.html (Foto di Tania Di Muzio)
Vignette dal web cinese
In cortile
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BIAS Pi San 皮三
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