L’albero di mio padre


2012 Mar
31

L’albero di mio padre
父亲的树 di Yan Lianke ( 阎连科 )




Caratteri cinesi vi propone un articolo scritto nel marzo del 2010 e pubblicato dalla rivista Sanwen Xuankan 散文选刊 dal titolo L'albero di mio padre (父亲的树 Fuqin de shu), in cui l'autore, attraverso il profondo sentimento nei confronti del padre, narra delle incoerenze, metamorfosi e devastazioni dell'animo umano, sopportate con rigore dagli abitanti della Cina contadina.

L'albero di mio padre

Mi è venuto in mente che mio mio padre, quando era in vita e dopo la sua morte, non ha mai avuto il suo albero, come un'anima senza bandiera.


Ricordo un breve periodo, nel 1978. È stato il momento che si è impresso più profondamente nella mia mente, come quando alla fine dell'inverno arriva la primavera e tutti gli esseri si risvegliano trasognati. Il cielo, che fa capo agli uomini, è di un blu brusco e impetuoso, fa credere alla gente di essere tinto di un non so ché di finto.


Improvvisamente, la terra venne redistribuita ai contadini. Il governo la restituì, come se le inespugnabili mura della città fossero state fatte a pezzi e poi rimesse insieme a formare una ciotola di coccio, con cui i contadini potessero mangiare. La gente non riusciva a credere che fosse vero. Si pensava che questa politica fosse una frittata trita e ritrita, un nuovo modo per giocare a nascondino. I contadini, in piedi sulla propria terra, se la ridevano con un sorriso smagliante o abbattevano gli alberi dei loro appezzamenti. La terra è la mia e anche quello che vi cresce. Quell'albero, vien da sé, fa parte della mia proprietà, di ciò che mi appartiene. E nel frattempo si abbattevano alberi grandi e piccoli, paulonie e pioppi. Li abbattevano e li trascinavano in casa.


Un giorno le politiche cambiarono nuovamente e la terra ritornò nelle mani e nei registri del governo. A casa c'era ancora come minimo un albero. Così, le persone avevano imparato, fecero a gara gli uni con gli altri e nell'arco di pochi giorni, i grandi alberi dei campi e delle colline, utili come assi portanti e come tetto, non esistevano più. Il terreno della mia famiglia era stato redistribuito fuori dal villaggio, in un campo accanto alla strada. Come per i terreni delle altre famiglie c'era un albero, un pioppo affusolato e più robusto di una spessa ciotola. Era dritto e a primavera il fruscio delle sue foglie risuonava chiaro e melodioso come un battito di mani.


Quel pioppo si ergeva solitario come l'asta di una bandiera in una piazza, mentre ciò che rimaneva degli alberi delle altre famiglie erano solo tronchi distesi, nudi sul terreno. Tutta la famiglia si riunì per discutere se abbattere o no quell'albero. Anche mio padre rifletté. Aveva misurato più volte con le mani e con lo sguardo la sua grandezza e l'altezza e sapeva che se fosse stato abbattuto sarebbe stato un pilastro perfetto come sostegno per le case, o che dalla sua vendita si sarebbero potuti ottenere alcune centinaia di Yuan. Alcune centinaia di Yuan, a quell'epoca, erano una somma importante. Ma alla fine mio padre non lo abbattè.


I vicini gli chiedevano: “Non lo abbatti?”


Mio padre sorridendo rispondeva: “Lasciamolo crescere ancora”


I passanti gli chiedevano: “Non lo abbatti?”


E mio padre rispondeva: “Ancora non è cresciuto veramente”


Così non venne abbattuto. Il pioppo snello, che in origine era in una fila di alberi alti nel campo al lato della strada, era ancora dritto in mezzo al campo. Solitario e dall'aria sostenuta, come dritta è l'asta di una bandiera nell'animo del villaggio. Ugualmente spesso di diametro e alto più di sei metri. Le cavità sui tronchi erano come tanti occhi che scintillavano, vivaci e affascinanti, speravano in questo mondo, leggendo nel suo animo e nelle sue metamorfosi.


Tre anni dopo, le politiche della terra in campagna cambiarono inaspettatamente. Si doveva modificare e regolare la terra di ciascuna famiglia. Oltretutto una parte del terreno doveva tornare di nuovo nelle mani del governo, per essere poi ridistribuita ai nuovi nati. Perciò la terra della mia famiglia divenne, con una gelida stoccata, la terra degli altri e quel pioppo dal tronco spesso divenne l'albero di qualcun altro.


La terra era altrui e anche gli alberi erano altrui. Tre giorni dopo il passaggio degli appezzamenti, mio padre, mia madre e le mie sorelle, passando per quel campo, si resero conto con sorpresa che l'albero non c'era già più. Appoggiato al terreno, c'era solamente il suo tronco bianco. Un tronco bianco come se da un cielo di nuvole nere, fosse caduta la neve bianca. Tutta la mia famiglia era in piedi accanto al tronco, come se si trovassero improvvisamente di fronte a un abisso. Persi negli occhi, e nell'animo. Non so cosa mia sorella maggiore e mia madre dissero a mio padre, solo rammarico e lamenti. Mio padre fece finta di nulla, guardò ancora un attimo il tronco e si diresse a zappare verso il nuovo e distante appezzamento di terra della mia famiglia, con dietro mia madre e mia sorella.


Poi mio padre morì.


Penso di continuo a tutti i fatti della sua vita e mi viene in mente sempre il suo l'albero. Quando mio padre, tornato alla terra riposava silente, un altro albero crebbe sulla sua tomba grazie ad un nuovo germoglio. Non era un pioppo affusolato, ma un salice curvo e inutile. Un salice che partendo dai germogli fino ai rami, dalla robustezza di un braccio arrivò a quella di una spessa ciotola. La terra, ai lati della collina, non era come quella nel campo, fertile e con acqua a sufficienza, ma quel salice, alla fine, nel corso del tempo sarebbe potuto crescere senza mai piegarsi, superando le difficoltà e resistendo. Nel periodo di siccità, accartocciava le foglie; nel periodo umido, i rami frastagliati e le foglie si trasformavano in ombrello. Quando il caldo era cocente come il fuoco, l'albero cingeva la tomba di mio padre e allietava l'animo di tutta la famiglia. Ancora oggi, tra la gente del villaggio esistono superstizioni. Si dice sia cosa buona che dai rami nascano germogli che diventano legno. Questo perché, quando si è vissuto in maniera virtuosa, il cielo e la terra fanno crescere un albero accanto alla tua tomba incolta e desolata. Nei momenti di solitudine l'albero ti accompagna con discorsi e confidenze, nei momenti di caos puoi nasconderti sotto le sue fronde, per trovare un po' di solitudine.


Per questa ragione il salice accanto alla sua tomba è stato davvero continuazione e ricompensa di tutto ciò che mio padre è stato nella vita. È esattamente un ritratto dipinto dal Cielo e dalla Terra, una chiosa interpretativa del karma degli uomini e delle loro azioni. Ho provato consolazione e pace per quell'albero sulla tomba di mio padre. Ogni anno, al cimitero, mio fratello e mia sorella stendevano i rami di quell'albero ricurvo, in modo che i suoi rami e le sue foglie potessero garrire alti come una bandiera nonostante la loro forma e la profonda solitudine e desolazione in cui era immerso.


Così, passati venti anni, inaspettatamente il cielo e l'evoluzione hanno disteso quell'albero che in origine aveva i fianchi ricurvi. Inaspettatamente divenne alto tre metri, robusto come il pioppo del terreno di famiglia che avevamo venti anni prima. Senza dubbio sarebbe potuto diventare un ottimo legno per sostenere gli uomini. Le tombe dei miei avi hanno numerosi alberi, ma quello di mio padre è il più grande e il più robusto. Una ragione potrebbe essere che mio padre è mancato presto e l'albero è cresciuto così per molti anni. Una seconda ragione è da rintracciarsi nelle teorie del villaggio: per la teoria di causa e effetto, il comportamento e l'integrità della persona alimentano e nutrono gli alberi e la terra accanto alla tombe.


Credo in questa ultima motivazione. Mi inchino all'albero che è appartenuto a mio padre.


All'inizio di quest'anno, il quindicesimo giorno del primo mese lunare, quando mio zio ottantenne è venuto a mancare, noi e una bianca coltre di neve, lo abbiamo accompagnato sulla sua tomba, e di colpo, abbiamo visto che l'albero accanto alla tomba di mio padre non c'era più. Qualcuno lo aveva abbattuto. Il tronco possedeva l'oscurità del tempo, mostrava disprezzo e silenzio infiniti. Anche gli alberi grandi e piccoli sulle altre tombe, non c'erano più. Erano stati abbattuti. Guardando da lontano, da un luogo ancora più distante, gli alberi delle altre tombe, prima erano una fitta foresta verde, ora un vuoto inesistente, spoglio. Mi viene in mente il disordine e la vita animata dei villaggi di oggi; mi viene in mente il frastuono incessante delle apparecchiature elettroniche di ogni villaggio e, ai lati delle autostrade, lo sviluppo e la gestione di falegnamerie e mobilifici; mi viene in mente il compensato a tre e a cinque strati che viene trasportato tutti i giorni in camion grandi e piccoli verso le città; mi vengono in mente i magnifici e civilizzati cartelloni pubblicitari che rimangono splendidamente eretti per tutto l'anno con su scritto di acquistare una grande quantità di legno.


Mi veniva in mente mentre tornavo a casa, la ricchezza e la vastità immacolata della strada del villaggio di alcuni anni fa. Da tempo, ormai, non ha più alberi. Ho capito, tutto ad un tratto, ogni dettaglio e il karma insito nella tomba di mio padre e in quelle delle altre persone: rimanere in silenzio. Solo rimanere in silenzio, e tacere.


Nel mio intimo, penso di continuo che il tempo e l'anima vengono abbattuti, da un appezzamento di terra alle tombe. Penso solamente che mio padre non ha mai avuto il suo albero, né in vita né dopo la morte, come un'anima senza bandiera. Penso solamente che il vecchio tronco accanto alla tomba di mio padre, nel risveglio di primavera germoglierà nuovamente. Ma non so quando quei germogli potranno divenire alberi, e non so quando, divenuti alberi, dopo alcuni anni, potranno di nuovo ergersi sicuri, senza imprevisti, nei campi e vicino alle tombe.





Tradotto da Désirée Marianini, 31 Marzo 2012