I lavoratori migranti tornavano, piano piano, alle loro case, portando le cose che avrebbero cambiato il villaggio. Mettevano sotto gli occhi dei bambini carte magiche che cantano, cellulari d’oro e sigarette che non si accendono, ma da cui si può aspirare il fumo. Zhong Yonglian si spingeva sempre fino alla porta del villaggio guardando ovunque. La speranza era che apparisse suo figlio, alto e robusto, ma ciò non accadeva.
Chiedeva in giro se per caso qualcuno sapeva dove lavorava, ma nessuno lo sapeva. Alla fine andò in città e lo chiamò sul cellulare. Il proprietario del negozio da cui si potevano fare le chiamate, disse che il telefono non era attivo, che probabilmente nessuno lo utilizzava, che non era stato ricaricato o che forse era stato rubato. Aggiunse che nel Guangdong gli scippatori vanno tutti in moto e che per rapinare la gente, la trascinano per terra, anche per parecchi metri. Un giorno, Zhang Yonglian si addormentò esausta sulla sedia, da tempo era torturata dall'insonnia. Sognò che Guo Feng era diventato un bambino muto e con il volto bianco pallido. Nel sogno prendeva un mestolo di zuppa e glielo versava assieme ad alcune medicine e insieme si raccomandava: «Mangia, figlio mio. Mangia un boccone. Vedrai che se mangi starai molto meglio»
Guo Feng la fissava terrorizzato scuotendo la testa in silenzio. Così Zhong Yonglian sprofondò in un’angoscia priva di ogni speranza. Portò via la ciotola. Quando tornò, trovò un enorme creatura dalle sembianze di un mollusco gigante che giaceva sul letto. Le costole emaciate erano incassate nel torace, le viscere si sollevavano e si abbassavano rapidamente, il sangue scuro delle gonfie cisti perforate gocciolava giù seguendo i meridiani, i suoi arti erano come quelli di un coniglio scuoiato. La creatura era per metà accovacciata. Provava a sollevare il suo corpo esausto afferrando il letto con la mano destra, ma le gambe rimanevano sempre curve come un setaccio che si muove. In quel momento la coperta di cotone che gli copriva il corpo scivolò giù.
Qualche capello era ancora appiccicato alla sua smisurata testa ovoidale e calva, ma il suo volto non aveva occhi, né orecchie, né naso. Rimaneva solo una grande bocca rantolante dai denti affilati. Mentre respirava con affanno, l’apertura e la chiusura delle guance gli infliggevano agonia e un odore nauseabondo permeava l’aria. La creatura oscillava e, proprio mentre stava per cadere, stese improvvisamente un braccio e la agguantò. Zhong Yonglian si svegliò, il polso gelido le faceva ancora male. «Perché Guo Feng non chiama? In tanto tempo, non ha mai chiamato neanche una volta. Sono preoccupata, l’ho sognato con la coda e le ali insanguinate» Il genero rimaneva zitto. «Sei il marito di sua sorella, vai a cercarlo. Sua sorella è preoccupata per lui» A questo punto avrebbe voluto aprire bocca, ma alla fine non disse nulla.
«Vai a cercarlo, sei il marito di sua sorella! Ho solo un figlio, io! »
«Come lo cerco?»
«Troverai il modo. Ti prego aiutami a ritrovarlo»
«La Cina è immensa, dove vado a cercalo? Non so neanche se sia nella provincia del Guangdong o in quella del Fujian»
«Lo troverai. Voi giovani trovate sempre una soluzione. Riportalo a casa per le feste. Finito il Capodanno, farete quello che volete. Non sto bene di salute, voglio vederlo. Mi tranquillizzerò appena lo vedrò»
Il genero si alzò e d’improvviso Zhong Yonglian s’inginocchiò ai suoi piedi afferrandogli i pantaloni e strattonandogli le ginocchia. Con gli occhi pieni di lacrime disse: «Ho paura che Guo Feng sia già morto. Già, proprio così, morto!» «Non parlare a vanvera» disse il genero. Ma quando vide la moglie che stava arrivando, acconsentì: «Va bene» «Giura» «Giuro» Il genero prese cinquecento yuan da Zhong Yonglian e rimase un giorno in giro per il capoluogo della contea. Alla fine tornò a casa senza aver speso nulla. Mentiva quando aveva detto che alla stazione aveva incontrato Li Yuanrong, quello del villaggio vicino, che gli aveva dato la notizia che Guo Feng tra pochi giorni sarebbe tornato a casa. Zhong Yonglian non ci credette e quindi il genero prese il cellulare e chiamò Li Yuanrong. «Guo Feng sta per tornare. Adesso guadagna mille yuan. Vuole guadagnare a sufficienza e tornare a casa», disse Li Yuanrong. Poco prima di Capodanno, Guo Guang, un tipo del villaggio che lavorava nel Guangdong, tornò a casa e confermò la versione di Li Yuanrong.
Guo Guang e Guo Feng lavoravano in due fabbriche che stavano una accanto all’altra; Guo Feng sta facendo gli straordinari per guadagnare il doppio, in un giorno arriva a fare quattrocento Yuan. Guo Feng in persona gli ha chiesto di portare il messaggio che per Capodanno sarà tornato a casa. «Guo Feng come sta?» «È sempre taciturno. Ha i capelli lunghi, da poeta» Zhong Yonglian sapeva che i soldi guadagnati da Guo Feng sarebbero serviti ad andare in un villaggio vicino a giocare d’azzardo. Ogni anno subito dopo le feste, vicino al tempio c’erano una decina di tavoli che invogliavano i lavoratori migranti.
C’era un tipo di nome Zhi Gang che gestiva il tutto. Le persone scommettevano da qualche centinaio di Yuan ad alcune migliaia, a diecimila e poi a centomila. Un anno di duro lavoro andava in fumo in questo modo. In seguito si facevano prestare i soldi per comprare il biglietto del treno e tornare al sud. L’anno precedente Guo Feng aveva vinto per quattro giorni, ma al quinto aveva perso tutto. Era tornato a casa con gli occhi rosso fuoco, aveva mangiato una zuppa ed era ripartito. La mattina del giorno di Capodanno, Zhong Yonglian tirò fuori il pollo per lo stufato, un’oca, un po’ di manzo e del maiale. Lavò le verdure e, quando la zuppa bollì, aggiunse la soia. A mezzogiorno i piatti erano completamente freddi, ma Zhong Yonglian era ancora lì e rifaceva piano piano tutto ciò che aveva già fatto.
Come una donna riservata durante una storia d’amore, teneva per sé tutti i desideri. Non avrebbe mai fatto un passo fuori dalla porta di casa, voleva aspettarlo. Lui sarebbe entrato di corsa e, impaziente, l’avrebbe chiamata. Lei si sarebbe voltata e avrebbe sorriso teneramente. «Guo Feng, sei tornato!» «Sì, mamma. Sono tornato». Aspettava solo queste quattro parole. Il tempo era sospeso. Le strade e l’aria, fuori dal villaggio, erano scure e immobili. Non c’era rumore di automobili, neppure un suono. C’erano solo i bambini che giocavano di nascosto con i fuochi d’artificio. Poi, come cola l'inchiostro, si fece buio. Zhong Yonglian era seduta sulla soglia. Piangeva. Alle undici di sera, tutte le case avevano chiuso la porta e anche lei si apprestava a farlo quando vide una luce, fioca ma costante, che veniva dal cielo. Rimase immobile. La luce divenne sempre più grande, chiaramente puntava nella sua direzione. Solo allora riprese coraggio: «I fari di questa macchina sembrano il bastone magico di Sun Wukong che si agita nel cielo», pensò Zhong Yonglian. Cominciò a correre piano, troppo piano. Così, forte ed energica, affrettò il passo e prese a correre veloce.
La macchina le passò davanti, ma non si fermò. Seduta per terra ricominciò a piangere. Soffriva, le faceva male ovunque. Le erano volate via le scarpe e le pietre appuntite le avevano ferito i piedi. Suo figlio non sarebbe tornato. Quando sentì che nulla l’avrebbe potuta più consolare, la macchina che aveva preso chiaramente un’altra direzione, tornò indietro verso il villaggio. Si fermò proprio davanti casa sua, senza spegnere il motore. Zhong Yonglian cominciò a correre verso casa.
Guo Feng uscì dalla macchina con uno zaino modesto che buttò in terra. Tirò fuori duecento yuan dalla tasca e li diede al tassista. Il ragazzo era ancora così scostante! Zhong Yonglian raccolse lo zaino e chiese all’autista se si volesse fermare a cena, ma l’autista non rispose e ripartì. «Perché sei tornato così tardi? » chiese la madre. Il figlio era nervoso.
«Ho viaggiato un giorno e una notte e, arrivato in città, non ho trovato una macchina»
«Hai fame?»
«Sì»
«Vado a riscaldarti la cena»
«Mangio un po’ di zuppa»
«A Capodanno? La zuppa?»
«Sì, la zuppa»
Guo Feng aveva una voce flebile, ma ancora austera. «Ho sonno. Chiamami quando è pronto» Disse ancora. Poi andò in camera, chiuse gli occhi e crollò sul letto. Zhong Yonglian impiegò molto tempo a togliere la coperta da sotto il corpo del figlio e a coprirlo per bene. Quindi, con l'animo sereno e spensierato, andò a preparare la zuppa. Lavò le pentole e il riso, poi aggiunse molta acqua al brodo perché al figlio piaceva sciapo. Più insipido era e meglio era. L’attesa la spazientiva. Si mise a regolare il gas. Quando pensava che era pronto, toglieva il coperchio. Il fumo bianco usciva dalla pentola e lei girava la zuppa con il mestolo, ma ancora non era pronta. Quando lo fu, la mise in una ciotola bollente. Sopportò il bruciore e la portò nella stanza. Chiamò il figlio a voce alta. Dalle coperte veniva fuori un suono flebile. Il ragazzo mormorò qualcosa da lontano.
«Feng, alzati! Bevi la zuppa» Lui non rispose. La madre sedeva sul bordo del letto, in attesa. In treno avrà percorso circa mille e cinquecento chilometri; dal capoluogo almeno altri trenta. In silenzio, gli rimboccò le coperte. Fuori cominciò a nevicare. Adesso tutto era pace: «Mio figlio dorme profondamente e fuori cade la neve» Dopo un po’ lo chiamò nuovamente: «Feng!» Nessuna risposta. Proprio come fanno gli animali, avvicinò teneramente il volto a suo figlio. Lo chiamò con dolcezza: «Feng! Dai, svegliati. Mangia qualcosa e poi ti rimetti a dormire»A chiamarlo in quel modo, ebbe un brivido. Lo accarezzò, il viso era ghiacciato. Scrutò le narici, il respiro era flebile. Lo scosse da una parte e dall'altra come una borraccia d’acqua. In ansia lo tirò su. Le mani del figlio sbucarono fuori dal piumino. Lei gli arrotolò le maniche e con forza gli afferrò il polso. Si accorse dell’imprevedibile leggerezza del corpo del giovane.
Era come se non ci fosse stato più nulla da afferrare. Improvvisamente si fermò e scoppiò a piangere. Le mani che aveva stretto non erano quelle di un essere umano, ma quelle di un animale morto. Le dita della donna erano completamente coperte di grasso viscido e nauseabondo. Il pollice era incollato al palmo lacerato del figlio e premeva fino a entrargli nelle bianche ossa. Le braccia erano tutte di un viola livido, come fossero state melanzane che si decomponevano al più leggero strofinio. Gli tirò via il maglione, il suo petto era uguale. Le vene erano lunghi e ampi corsi d’acqua bluastri che s’intersecavano alla bocca dello stomaco. Si affrettò ad abbracciarlo da dietro, ma la testa sembrava fosse stata decapitata, caduta di colpo. A forza gli aprì la bocca. Venne fuori un odore di composti chimici. Il dottore esaminò il corpo per tre minuti.
Poi uscì dalla sala e, trovata Zhong Yonglian, le disse indignato: «Il corpo di suo figlio è completamente putrefatto; gli organi, la pelle, le ossa, tutto putrefatto. Si è decomposto da vivo» Zhong Yonglian allora affittò una macchina per il trasportare il figlio al villaggio. Lo seppellì in silenzio. A primavera iniziata, si recò al villaggio un praticante di un centro provinciale per l'aiuto legale che coltivava la speranza di diventare un avvocato di fama nazionale. Trovò Zhong Yonglian, i capelli ormai grigi. Cercò di chiarire la situazione con parole come «quantità di piombo», «capacità di carico per settimana lavorativa» e «misure di protezione». Scoprì che la sua interlocutrice non capiva nulla. Allora fece un esempio: «Suo figlio lavorava in un ambiente molto peggiore di quello delle fabbriche di gas tossico durante l’invasione giapponese.» Zhong Yonglian scosse la testa e se ne andò. «Lo faccio per il suo bene, non deve pagare nulla.» «No» «Le sembra possibile che suo figlio sia morto così?» «No, non ho bisogno di nulla.»
Zhong Yonglian era testarda. Se ne andò verso la casa della vicina, come per riprendersi da una grave malattia. Con estrema lentezza e attenzione, si andò a sedere sulla soglia della porta. Wu Haiying la vide e le portò uno sgabello: «Fa freddo seduta lì» «Non avrei dovuto sospettare di te» «Non dire queste cose» Wu Haiying si accovacciò e accarezzò la mano di Zhong Yonglian. Lei la lasciò fare e non si scostò. Wu Haiying rimase in silenzio, senza smettere di piangere. Zhong Yonglian era immobile, come una martire a testa alta. In quel momento in fondo al villaggio, in una casa dove un lavoratore migrante non era ancora partito, risuonava una canzone pop americana.
Everywhere I'm looking now
I'm surrounded by your embrace
Baby, I can see your halo
You know you're my saving grace
You're everything I need and more
It's written all over your face
Baby, I can feel your halo
Pray it won't fade away
Le due donne erano come pietre che ascoltavano assenti. Io, lo scrittore, sono quel poliziotto del villaggio che ha intimato alla folla di calmarsi. In seguito ho dato le dimissioni dalla polizia. Ho lavorato per il governo e per tante altre persone, in molti altri luoghi differenti. Volevo avere l'occasione di guardare, anche solo per un istante, una donna meravigliosa.
Tradotto da
Desiree Marianini, 05 Maggio 2011
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