Le responsabilità del nuovo Kalon Tripa



Wang Lixiong è uno scrittore e intellettuale liberale di etnia han, sposato da anni con la famosa scrittrice, poetessa e attivista tibetana Tsering Woeser 唯色. I due possono essere considerati figli della Cina multietnica e culturalmente integrata sponsorizzata dal governo dopo la fine della Rivoluzione culturale. Tuttavia, negli anni, Wang Lixiong e Tsering Woeser hanno assunto una valenza simbolica ancora più forte: quella della leadership per la tutela dell’identità tibetana all’interno della Rpc.

Il tema che vi proponiamo oggi è una riflessione di Wang Lixiong sulla questione delle elezioni nel governo tibetano in esilio. Lo spunto è costituito da due brevi articoli dell’autore, recentemente riproposti dal blog di Woeser in occasione del voto di metà marzo, ma redatti poco prima del primo turno di elezioni, svoltosi nell’autunno del 2010. Le recenti elezioni parlamentari e del primo ministro tibetano vanno contestualizzate all’interno di un più ampio quadro politico, poiché sono coincise con il mese di marzo, un momento dell’anno ricco di significati simbolici in Tibet. In questo mese ricorrono le commemorazioni dell’inizio dell’esilio in India (marzo 1959) e delle rivolte che hanno colpito la regione (le più grandi scoppiate nel marzo del 1959, del 1988 e del 2008). Quest’anno, in corrispondenza con le commemorazioni che si sono svolte a Dharamsala e pochi giorni prima del voto, il Dalai Lama ha annunciato di voler istituzionalizzare il suo ritiro dagli incarichi politici, aprendo le porte ad una transizione che potrebbe assumere un notevole valore politico e storico.

Contemporaneamente, nel Tibet cinese, si è assistito a nuovi fenomeni di protesta, che hanno avuto un’ampia eco mediatica.

Il nuovo Kalon Tripa dovrà essere un iniziatore

Nella comunità esule si terranno presto le elezioni del Kalon Tripa (1). Sostanzialmente viene richiesta una scelta di base, ovvero: quali dovranno essere le principali responsabilità del Kalon Tripa? Si dovrà preoccupare dell’amministrazione della comunità esule o della questione tibetana? Queste due responsabilità richiedono due tipi diversi di Kalon Tripa. Se il bisogno è quello della gestione della comunità esule, è sufficiente una persona dall'animo imparziale, che abbia familiarità con gli apparati istituzionali e con il modus operandi del governo in esilio, o anche vicina al governo indiano e capace nella diplomazia con i paesi occidentali.

Ma se l’obiettivo principale è la risoluzione della questione tibetana, allora i requisiti del nuovo Kalon Tripa devono essere diversi. I leader di prima generazione sono quelli che hanno conseguito i maggiori risultati nell’amministrazione della comunità esule. Hanno riposto molti sforzi anche nella risoluzione della questione tibetana, ma a tal proposito i tibetani in esilio con cui sono entrato in contatto normalmente non sono soddisfatti: ritengono che la vecchia dirigenza sia prigioniera di illusioni e che stia percorrendo una direzione sbagliata. Non è detto che questo sia il giusto modo di vedere le cose, tuttavia è una prospettiva che ormai ha preso forma; questi leader, incluso il Dalai Lama, sono ormai considerati staccati dalla realtà.

Malgrado l’inarrivabile prestigio del Dalai Lama possa tuttora assicurare la maggioranza di voti alla politica della via di mezzo (2), questo sostegno si esaurisce in un atto di sottomissione e non rappresenta una reale dimostrazione di fiducia. [...] La maggioranza degli esuli è unita nel ritenere che la politica della via di mezzo non possa portare a risultati concreti. Gli esuli di vecchia generazione non riescono più a trasmettere con forza persuasiva le loro posizioni alla popolazione, né sanno risvegliare il calore della gente. [...]

Il Kalon Tripa in grado di risolvere la questione tibetana

Ho raccolto tra gli esuli alcuni scambi di opinione su come il prossimo Kalon Tripa potrà onorare l’incarico di risolvere la questione tibetana. Di seguito riporto un sommario generale del loro pensiero.

Il nuovo Kalon Tripa opererà in un momento chiave delle trattative con la Cina, per questo motivo dovrà conoscerla approfonditamente. La capacità di ponderare attentamente il giudizio sulla Cina sarà molto importante. Le relazioni tra l’Occidente e la comunità esule possono essere supportate da molte persone, ma nei rapporti con la Cina i tibetani dovranno contare solo su loro stessi, nessun altro potrà aiutarli. La resistenza del 2008 ha avvicinato i tibetani che vivono in Tibet e quelliin esilio; questo è avvenuto attraverso uno spargimento di sangue, un fattore a cui va riconosciuto il giusto valore. Se il Kalon Tripa sarà un tibetano proveniente dall’interno dei confini del Tibet, o con un trascorso di vita in Tibet, sarà più facile che i tibetani in Tibet si identifichino in lui. Questo perché ai suoi occhi il popolo e il suolo tibetano sarebbero qualcosa di vivo e pulsante. Al contrario, per i tibetani nati in esilio, il Tibet è un’idea che si identifica essenzialmente in un valore il più delle volte staccato dal Tibet reale. Un Kalon Tripa che non sia mai stato in Tibet non avrebbe grandi problemi ad amministrare la comunità esule, ma in rapporto alla risoluzione della questione tibetana non potrebbe valere un tibetano nato in Tibet. È difficile che nei tibetani cresciuti in esilio non sussista una frattura con la realtà tibetana.

Al di là dell’aspetto politico, i tibetani esuli e quelli nati in Tibet parlano spesso lingue diverse. Ad esempio, in occasione di un intervento a una conferenza in Occidente, una persona chiese a un lama reincarnato cresciuto all’estero cosa avrebbe detto per prima cosa a un compatriota tibetano nel caso in cui fosse tornato in Tibet. La sua risposta fu che per prima cosa gli avrebbe detto di lavarsi i denti (3). Questa è una frase molto significativa, inconsciamente il lama reincarnato si sentiva più civile dei compatrioti in Tibet e per questo si riteneva in diritto di guardarli da una posizione di superiorità. Il nuovo Kalon Tripa dovrà invece creare empatia con la popolazione tibetana in Tibet, dimostrare un attaccamento nei loro confronti e anche capire come comunicare in modo chiaro con loro. Non si tratta solo di un problema di proprietà di linguaggio, né è sufficiente adagiarsi semplicemente sulle competenze coltivate grazie a una formazione all’estero.

Quello che è ancora più importante è la presenza di un background di vita comune con tutti i tibetani. Un’eccellente padronanza del tibetano è senz’altro un requisito essenziale, senza il quale qualsiasi altra condizione sarebbe superflua. Detto questo, tra le competenze linguistiche, la conoscenza del cinese va messa al secondo posto, perché il principale interlocutore per la risoluzione della questione tibetana è la Cina. Paragonato con il cinese, l’inglese è di importanza secondaria: senza dubbio la padronanza dell’inglese sarebbe un pregio, ma se anche dovessero esserci delle carenze si potrebbe ovviare con degli interpreti. A detta dei cinesi un Kalon Tripa che sappia parlare cinese faciliterebbe la comunicazione, permetterebbe agli han di conoscere in modo accurato le sue posizioni e creerebbe le condizioni per delle relazioni più strette. [...] Ovviamente il nuovo Kalon Tripa, oltre ad avere delle capacità politiche, dovrà anche possedere virtù e senso del giusto nell’avvicinarsi ai movimenti sociali. La guida degli esuli non può ignorare nessuna di queste due caratteristiche, ma se si da’ maggiore importanza alla capacità politica a scapito della virtù, la comunità esule rischia di perdere la sua principale risorsa.

Questi due articoli sono stati pubblicati sull’edizione tibetana di Radio Free Asia. Fonte degli articoli: Biblioteca online di Wang Lixiong (originariamente pubblicati il 30 e il 31 agosto 2010 ai link: http://wlx.sowiki.net/?action=show&id=424, http://wlx.sowiki.net/?action=show&id=423)

(1) Il Kalon Tripa (in cinese: 噶伦赤巴, galun chiba) è una carica del governo tradizionale tibetano che può essere paragonata a quella di primo ministro. (2) La politica della via di mezzo è la linea ufficiale del governo esule per la risoluzione della questione tibetana. Elaborata gradualmente a partire dalla fine degli anni Settanta dal Dalai Lama e dal suo staff, la proposta è ispirata da ideali democratici, pacifisti, anti-militaristi e autonomisti. Dopo la rivolta del 2008 e il fallimento dei negoziati con la Cina, la politica della via di mezzo è stata sottoposta a un voto di fiducia in Parlamento, guadagnandosi una conferma che però non ha dissipato i dubbi di molti osservatori sulla sua efficacia. Nello specifico, ormai da più di due decenni, il governo cinese ritiene la proposta non negoziabile, etichettandola come un disegno politico indipendentista. Al contrario, la stessa politica è ritenuta troppo moderata da alcune organizzazioni politiche esuli, come il Tibet Youth Congress. (3) Esistono diverse testimonianze di forme di discriminazione e pregiudizio tra gli esuli tibetani nei confronti dei nuovi tibetani giunti in esilio o cresciuti nel Tibet cinese. Diversi osservatori hanno riscontrato nei tibetani nati e cresciuti in esilio un atteggiamento di superiorità nei confronti dei nuovi venuti, che spesso vengono visti come incivili e sporchi.



Tradotto da Mauro Crocenzi, 10 Aprile 2011