Benvenuto ai “nuovi operai” #2



Seconda puntata del reportage sulla nuova classe operaia. Ecco il malessere dei giovani nati negli anni Novanta, spinti alla competitività estrema e spesso non in grado di garantirsi un futuro "accettabile": cioè consumista. Stanno a metà del guado, insofferenti verso la civiltà dei padri, covano al tempo stesso un grande rancore, misto a complessi d'inferiorità, verso chi sta sopra di loro. La miscela è potenzialmente esplosiva.

Desideri e grandi limiti

Siamo stati a Shenzhen, Canton, Huizhou e infine a Dongguang. Abbiamo incontrato ragazzi simili ad A Lei e ci siamo resi conto che il disagio in fabbrica è vissuto in maniera più intensa dai ragazzi maschi nati negli anni novanta. La nuova generazione di ragazze, per la maggior parte, continua ad essere soddisfatta a prescindere dalla loro condizione salariale e sociale e questo è dovuto anche dall'innalzamento dello stipendio di questi ultimi anni. Cinque anni fa, un operaio del settore elettrico guadagnava duemila RMB al mese, oggi può arrivare a tremilacinquecento, tenendo anche presente che l'intensità lavorativa è rimasta invariata. Per questo gli operai con più anni di esperienza e le ragazze nutrono nei confronti delle fabbriche un livello di fiducia e di soddisfazione abbastanza alto.

Questo appagamento li spinge anche alla partecipazione politica. Alcuni operai più anziani hanno cominciato ad interessarsi all'attuale struttura politica cinese e alla via che sta percorrendo. Alcuni si interessano alla lotta contro la corruzione e ritengono che bisogna “eliminare molte tigri” [i grandi corruttori. Ndt] anche se la loro formazione culturale non è sufficiente per comprendere a pieno la logica sottostante ai movimenti di potere. Grazie al consenso ottenuto per la lotta alla corruzione, sembrerebbe che le alte sfere si siano già assicurate l'approvazione degli altri strati sociali riguardo le questioni di politica interna.

I ragazzi nati negli anni novanta, invece, provano una sensazione che non riescono ad esprimere. Molti di loro avvertono che “non è più come prima”, sono guardinghi nei confronti dello status quo e consci delle scorrettezze perpetuate dal potere politico sulla società civile. Certamente ritrovarsi appesi nella stretta impasse delle grandi città fa scemare la curiosità verso la politica. In campagna, i nuovi operai hanno una vita relativamente agevole, ma il processo di urbanizzazione delle città medio piccole, di cui fanno parte, gli ha fatto toccare con mano tutte le provocazioni innescate dal trend del consumismo, generando in loro nuove richieste e desideri. Molti ormai si sono trasferiti e hanno comprato casa nella città più vicina al paese di origine o in una grande città. Questa nuova generazione è costretta a partecipare in maniera aggressiva alla competizione urbana per non essere “quelli rimasti in campagna” o addirittura divenire degli outsider che risiedono ai bordi della periferia cittadina, dimenticati dal tempo e senza speranza di potersi costruire una famiglia.

Incontrandoli ci siamo resi conto che questi ragazzi non provano nessun attaccamento per le abitazioni costruite dai loro genitori. Hanno altre ambizioni: desiderano avere una vita dignitosa e preservarla il più a lungo possibile. Questo comporta la necessità di un ingente supporto economico, garantito dal lavoro fisso in città e dalla disponibilità di potersi comprare una macchina e una casa. Le difficoltà emergono in modo preponderante per i lavoratori delle grandi aziende (statali e non statali) che non hanno accesso a un salario e a un posto fisso. Il punto centrale è la contraddizione insolubile tra le continue speranze dei nuovi operai, la debole possibilità di poterle realizzare e l'insufficiente capacità di mettersi in gioco.

L'ansia e la profonda inquietudine sono dirette sull'ambiente circostante e sulla società in generale, ma si sfogano sul loro principale luogo di aggregazione e lavoro, ossia la fabbrica. Questo disagio potrebbe estendersi all'intera società quando le nuove generazioni riusciranno ad inserirsi in altri spazi. La stessa società potrebbe risultare particolarmente debole subendo il contraccolpo di questa instabilità generalizzata.

Schegge impazzite?

Alcuni segnali ci hanno già confermato il continuo propagarsi di questo disagio. La nuova generazione di operai prova un senso di inferiorità e pensa di essere disprezzata dalle classi più abbienti e dai colletti bianchi. Oltretutto, a causa del lungo orario di lavoro, la fabbrica è l'unico ambiente che frequentano e non possiedono nessun canale per entrare in contatto con persone di classe media (per non parlare di classi più agiate). La soluzione adottata più frequentemente è quella di chiudersi in se stessi. Anche perché se prendono l'iniziativa di comunicare con persone di altre classi sociali, spesso vengono tacciati di piaggeria dai loro stessi amici. Se telefonano a qualcuno con una posizione sociale più alta della loro e la persona in questione non risponde (magari solamente perché non ha sentito lo squillo) pensano che l'abbiano fatto apposta per non aver nessun rapporto con loro.

Questa sensibilità, nel caso dovesse esplodere, è altamente distruttiva. “Se ci fossero delle ribellioni in fabbrica i primi a farne le spese sarebbero i caposquadra”, afferma un ragazzo lamentandosi di essere stato umiliato dal suo superiore mentre era esausto a fine turno.

Normalmente i nuovi operai nati negli anni novanta quando subiscono un rimprovero, prima fanno finta di nulla ma poi, senza farsi accorgere dal caposquadra, distruggono volontariamente vari oggetti all'interno della fabbrica per sfogarsi. Si rendono conto di non possedere l'intraprendenza del leader ma, nel caso l'ordine sociale venisse scardinato, potrebbero comportarsi come schegge impazzite. Chi ne farà le spese, però, saranno quelli che hanno con loro una comunicazione giornaliera e che non si differenziano più di tanto dal punto di vista sociale, ossia proprio i loro stessi caposquadra.

Tradotto da Desirée Marianini, 18 Novembre 2014