In un sogno Aluss, fotografo della Mongolia interna, ci racconta quello che vede, o immagina, a Buluke nello Xinjiang. Terra che lo ha conquistato nei tanti viaggi compiuti nel corso della vita. La sua meta? Principalmente il nord ovest della Cina. La macchina fotografica sempre in spalla e tutto rigorosamente scattato in analogico.
I ciottoli del fiume giacciono in silenzio. La gente è occupata a riparare gli argini.
Le donne spostano le pietre ridotte in frantumi. Gli uomini le impilano, una ad una, avvolgendole con il fil di ferro.
Cammino sul letto del fiume, guardo il mormorio della corrente che scorre fra i ciottoli.
Sono di diversa grandezza: sembrano miglio, soia, escrementi di capra, noccioli di albicocca (gli occhi), uova (il cuore), seno di giovani fanciulle, angurie (la testa), pentole, una persona le riesce a portare tra le braccia, due persone le riescono ad alzare. Ma tre persone non ci riescono.
Penso: quanto tempo e vicissitudini hanno dovuto sopportare queste pietre per essere diventate tonde e levigate.
I ciottoli giacciono calmi sul letto del fiume.
La sabbia intrappola il piede. I ciottoli lo urtano. C'è ancora troppa distanza tra le grandi pietre, non si riesce a saltare. Posso solo camminare su quelle grandi come un'anguria.
Abbasso la testa e vado avanti per un tratto. Mi fermo.
Intorno un silenzio di morte. Ormai è tutto scomparso: il suono del fiume che scorre, il suono dell'erba dove soffia il vento, il chiacchiericcio degli insetti, il verso delle capre e delle mucche, le risa degli uomini, il canto degli uccelli che volano nel cielo.
Generalmente la tranquillità mi piace molto. Ma questa impassibilità mi terrorizza. Non so cosa potrà accadere.
Guardo di nuovo i due lati della catena montuosa, torreggia arrogante, si oppone al cielo.
Somiglia al simbolo dell'uguale (=).
Il fiume Buluke, le Poacee sulla banchina, e ci sono anche io, stretto in mezzo.
Vado ancora avanti. Il letto del fiume, appoggiato ai piedi della montagna, è sempre più oscuro.
Il sole cocente batte sulla testa, un caldo soffocante, è difficile respirare.
Fischio, in cerca di vento fresco.
Improvvisamente sento il suono assordante, niente in confronto ad un'orribile calamità. Una mandria di cavalli? Una spedizione militare?
Ho paura, solo dopo scopro di essere vicino ad un torrente in piena.
Ad un tratto mi si stringe il cuore, corro verso destra ai piedi del monte.
È troppo ripido, non riesco a salire, mi giro e corro sulla riva opposta del fiume. Non ce la faccio neanche questa volta a salire. Posso solamente correre indietro da dove ero venuto.
Il livello del fiume è salito, l'acqua mi arriva alle ginocchia, poi ai fianchi e al busto.
Arrivano le onde, che mi fanno completamente perdere il controllo. Affogo.
Mi sveglio d'improvviso. Ho la faccia imperlata di sudore freddo e le gambe mi tremano.
Alzo la testa, con cautela guardo il letto del fiume. Vuoto.
Mi faccio coraggio e vado avanti per cinque passi, mi accuccio e lavo la faccia in una pozzanghera di acqua stagnante.
Nell'acqua gelida ci sono tre pesci che fanno avanti e indietro.
Il sole di mezzogiorno mi brucia.
Mi alzo in piedi e mi guardo attorno, voglio rilassarmi al fresco da qualche parte.
Ovest. C'è un albero sulla sponda destra, è lì solitario, conficcato nel terreno.
Cammino, mi siedo a gambe incrociate su una pietra trovata sotto l'ombra dell'albero.
Erose, da continui anni di inondazioni, le sue radici sono già tutte scoperte in superficie.
Alzo la testa e guardo questo albero cavo, interrogandomi su quanti anni abbia: all'incirca cinquantacinque.
Seduto, comincia a venirmi sonno.
Alcuni fruscii, immediatamente penso ci sia un serpente e salto in piedi.
La pancia borbotta dalla fame. Torno indietro.
È sempre più caldo, un caldo da togliere il respiro.
Le pietre sono di un bianco sempre più accecante.
Con il caldo cocente, da queste pietre non possono nascere delle persone?
I miei occhi cominciano a formicolare dall'abbaglio mentre mezza lacrima si nasconde fra di loro, nell'angolo.
[Foto di Aluss]
Tradotto da
Désirée Marianini, 31 Gennaio 2013
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