Tao Dong è molto chiaro: per andare avanti saranno fondamentali delle riforse strutturali del sistema economico. Il palliativo a breve termine è destinato a fallire. Una imbeccata diretta ai leader del partito, chissà, probabilmete qualcuno a Zhongnanhai sta tendendo le orecchie.
La crescita dell’economia cinese nel primo trimestre ha raggiunto solo il 7,7 per cento. Se annualizzata, la velocità di crescita attuale sarebbe pari al 6,6 per cento. Questa notizia ha suscitato grande clamore nei mercati. Questo tasso di crescita conferma quelle che erano state le mie previsioni – ciò che veniva indicato come un rimbalzo della crescita si è infatti confermato essere solo un falso nuovo ciclo (vedi articolo del 5 marzo 2013).
In realtà, quasi tutte le attività economiche dei privati stanno ancora registrando un rallentamento o si mantengono stabili. Il governo non ha fatto altro che aggiungere tra i vari elementi che compongono il Pil un nuovo componente, ossia gli investimenti dei governi locali. Aumentare le infrastrutture locali è però un po’ come indossare un paio di scarpe con i tacchi: arrivare all’8 per cento non è molto difficile, ma quella misura non rappresenta la nostra reale “altezza”.
Una crescita del 7,7 per cento, sebbene rappresenti un indebolimento rispetto al passato, è tuttavia l’ultimo dei problemi attuali dell’economia cinese. I veri problemi non riguardano la crescita.
Per prima cosa, sono passati ormai circa sei mesi dall’inizio dell’espansione del credito e della spesa pubblica, ma lo stimolo ha avuto effetti molto ridotti sulle attività economiche dei privati e si può dichiarare fondamentalmente fallito. Di fatto, la politica di stimolo del governo centrale non ha accresciuto affatto la propensione a investire da parte dei privati, né ha invogliato i consumi e, tantomeno, ha portato l’economia su una traiettoria di crescita rapida sostenibile. Al contrario, ogni punto percentuale di crescita richiede ora un investimento da parte del governo molto superiore rispetto al passato.
In secondo luogo, i grandi progetti infrastrutturali a livello locale fanno fondamentalmente affidamento sulle banche ombra. Questi intermediari finanziari non convenzionali – che operano senza alcun tipo di supervisione – si comportano quasi tutti in maniera irregolare, non curandosi nella maggior parte dei casi dei rischi connessi ai crediti che rilasciano, creando le premesse per un possibile shock finanziario. Ritengo che una parte cospicua dei capitali prestati dalle banche ombra nel 2012 si trasformerà in prestiti non performanti, mettendo a rischio la stabilità finanziaria e quella sociale del paese.
Terzo, l’allentamento verso il settore immobiliare del 2012 ha probabilmente favorito, in maniera provvisoria, la stabilità dell’economia, ma ha anche dato libero sfogo al flusso di denaro contante degli imprenditori edili. A meno che non venga introdotta una tassa sui beni immobili a livello nazionale, è facile che nei prossimi due anni i prezzi delle case continueranno a salire in maniera costante, facendo quindi gonfiare sempre di più la bolla immobiliare.
Quarto, il virus H7N9 ha fatto crollare il prezzo della carne di maiale e del pollo, favorendo una riduzione dell’Indice dei prezzi al consumo (CPI). Ma dopo la mattanza di polli e maiali, le persone torneranno a consumare carne e l’incapacità di soddisfare tale domanda causerà probabilmente un repentino aumento dei prezzi. Contemporaneamente, potrebbero manifestarsi quelle che sono le conseguenze dell’emissione eccessiva di moneta degli ultimi anni – che si riflette già nell’attuale aumento degli affitti commerciali -. Non è quindi difficile prevedere che il prossimo anno il settore dei servizi sarà soggetto ad una forte pressione fiscale.
I problemi economici della Cina hanno origine nel collo di bottiglia strutturale che disincentiva gli investimenti da parte dei privati. La sua soluzione consiste quindi in una riforma strutturale, non c’è altra strada. Ciononostante, la politica economica del 2012 è stata caratterizzata da misure anti-cicliche, nel tentativo di risolvere problemi di natura strutturale attraverso una politica del credito, sostituendo in altre parole la spesa pubblica agli investimenti dei privati. Queste misure possono temporaneamente favorire una rapida crescita, ma non possono in nessun caso stimolare una crescita duratura e sostenibile e sono quindi destinate, in ultima analisi, a fallire.
Se si vuole ritornare ai livelli di prosperità a cui eravamo abituati in passato, non si può evitare una riforma strutturale. Una “economia stabile” è certamente indispensabile, ma gli “aggiustamenti strutturali” sono la chiave per gestire le difficoltà economiche attuali. Bisogna approfittare del fatto che ci sia ancora spazio per la crescita e l’occupazione, promuovendo anticipatamente le riforme, non bisogna più rimandarle. Una volta risolte le questioni cruciali, tutto si sistemerà da sé.
Tradotto da
Piero Cellarosi, 03 Maggio 2013
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