“Stessa aria, stesso destino”. Nella Cina del 2013 questo detto non è solo un simbolo della lotta ispirata al “sogno cinese”, ma una realtà comprovata ogni giorno dai fatti. Ricchi funzionari e figure eminenti, imbonitori e vagabondi... chiunque esca all’aria aperta è coinvolto. Prima parte dell'analisi della rivista Renwu Zhoukan. La traduzione dell'articolo è stata pubblicata sul numero 1046 di Internazionale.
Dall’inizio del XXI secolo, in Cina ci sono state almeno due occasioni in cui le mascherine sterili sono andate a ruba. La prima fu nel 2003, con l’esplosione della Sars. All’inizio di quell’anno, a Pechino si diceva che i cantonesi erano esagerati, perché indossavano le mascherine per assistere alle competizioni sportive. In seguito l’epidemia fece violentemente il suo ingresso nella capitale. La paranoia e le precauzioni crebbero all’eccesso, ma nessuno batté più ciglio.
Gli effetti dello smog non hanno la violenza di un’epidemia, ma influiscono costantemente sul fisico. Alla fine del 2010, l’Ambasciata americana aveva calcolato che a Pechino il valore del particolato fine (PM 2.5) raggiungeva i 595 microgrammi al metro cubo, superando il valore limite degli strumenti di misurazione (500 μg/m3). Da allora questo metro di misurazione della qualità dell’aria è divenuto sempre più familiare ai cinesi.
La gente ha compreso che il problema era reale ed è rimasta fortemente impressionata da una serie di incidenti, che hanno ferito i sentimenti del popolo e della nazione cinese. Ad esempio ci sono stati atleti stranieri che sono arrivati a Pechino con indosso le mascherine o che hanno direttamente disertato competizioni sportive adducendo come ragione “la pessima qualità dell’aria”. Nelle guide turistiche sono comparse note sulla “tosse di Pechino” e i dati del Consolato americano hanno evidenziato contraddizioni davvero enormi con quelli rilasciati dal Ministero dell’ambiente cinese. Nel 2013, l’allarme degli indicatori dal Nord della Cina ha raggiunto il Sud del paese. Lo stesso cielo ha coperto tutte le teste e ognuno ha compreso il destino comune. Il risultato del modello di crescita dell’economia tradizionale presenta il conto.
Nessuno escluso
All’alba del 1 dicembre 2013, Jiang Dahe, professore in pensione dell’Istituto di ingegneria e scienze ambientali dell’Università Tongji, ha portato la sua nuova reflex in via Nanchino a Shanghai per riprendere la maratona che si sarebbe svolta quel giorno. In questa città, nota per la sua vitalità, una maratona con decine di migliaia di partecipanti è un grande evento per gli amanti dello sport. Quel giorno però la qualità dell’aria ha raggiunto punti critici di inquinamento, inaugurando una settimana con alti livelli di smog. Era la seconda volta nello stesso anno, in una regione - quella a Sud del basso corso del Fiume azzurro – la cui qualità dell’aria era stata sempre considerata abbastanza buona.
La prima volta era accaduto intorno al 7 agosto 2013, uno dei giorni più caldi dell’estate. Gli ossidi di azoto e gli idrocarburi emessi dai gas di scarico delle autovetture, quando esposti ai raggi del sole, scatenano una reazione generando smog fotochimico. Quel giorno hanno prodotto un grave eccesso di ozono nell’atmosfera, la cui concentrazione oraria ha superato addirittura i 300 microgrammi al metro cubo, tingendo il cielo di un blu pallido.
Fortunatamente a mezzogiorno, il momento della giornata con più alto eccesso di ozono, per strada non c’erano molte persone. Così l’ozono, che provoca gravi irritazioni alle mucose, non ha avuto ripercussioni rilevanti su vasta scala. L’eccesso di ozono è stato dimenticato in fretta, perché localizzato e strettamente correlato con condizioni meteorologiche estreme. Tuttavia, il fenomeno iniziato il 1 dicembre è stato più prolungato e lo smog ha coperto un’area più estesa, risultando meno indolore.
Mentre alla fine del 2013 Shanghai era colpita dallo smog, Liu Zhentao (nome di fantasia) veniva schernito dai suoi amici. Pechino è il luogo più adatto per chi opera nel venture capital su internet ma un paio di anni fa Liu si era trasferito con la famiglia a Shanghai. Riteneva che l’aria di Pechino fosse troppo inquinata, anche se allora la stragrande maggioranza dei cinesi ancora non parlava di polveri sottili.
A Shanghai aveva fatto ricerche sui vari modelli di purificatori d’aria e su tutte le aziende del settore. Dopo aver deciso di investire, lo smog ha raggiunto la città e lo ha ricompensato con un bruttissimo aspetto. Persino la gente del posto ci ride su. Se a Pechino non si riesce a vedere chiaramente il ritratto di Mao a Tian’an men, a Shanghai non si riesce a vedere il ritratto di Mao sulla banconota da 100 yuan tirandola fuori dalla propria tasca.
Alcuni hanno pensato di fuggire. L’editorialista Ye Tan è tra coloro che sono migrati temporaneamente. Lei si è trasferita nella regione dello Zhejiang, in una cittadina di nome Deqing ai piedi del monte Mogan, ma ha scoperto che anche questo posto è oppresso dallo smog.
I motivi per cui questa volta lo smog ha attirato tutta quest’attenzione sono molti. Tra essi va considerato che uno dei principali agenti inquinanti è il particolato fine, un tipo di polvere sottile che recentemente è divenuto tristemente noto agli abitanti del luogo per la capacità di influenzare in maniera sostanziale la visibilità e la salute.
Quest’anno le polveri sottili si sono comportate come degli studenti modello, concludendo con pieno successo un temino che ripete sempre lo stesso ritornello. L’inizio della composizione reciterebbe più o meno così: a gennaio l’ampia coltre di smog ha colpito 17 grandi città. Durante tutto il mese, nell’area di Pechino, di Tianjin e della regione dello Hebei, ci sono stati solo 5 giorni di cielo limpido. Nella fase più critica, tra il 9 e il 15 gennaio dello scorso anno, a Pechino la concentrazione in un’ora di PM 2.5 ha raggiunto un massimo di 680 microgrammi al metro cubo, superando la soglia dei 300 microgrammi al metro cubo per 46 ore.
Nella parte finale del tema, quella sulla prima settimana di dicembre, potrebbe comparire un estratto dal blog di Li Fangjun (del Centro scientifico di rilevazione remota e terra digitale dell’Accademia nazionale delle scienze), in cui lo scienziato accompagna 7 immagini scattate dalla NASA per un monitoraggio con queste parole: «la prima settimana di dicembre, proprio mentre tutti sono intenti a tracciare un bilancio annuale dei guadagni e delle perdite, lo smog ha ricoperto tutta la nazione, dalla Cina orientale, a quella meridionale, occidentale, settentrionale e centrale, non risparmiando nessuna area».
Inizialmente alcuni media hanno risposto al cielo grigio con grande ottimismo. Sul sito della Cctv è comparso un pezzo di analisi intitolato "I cinque grandi lati positivi portati dallo smog" in cui si sosteneva che l’aria inquinata avrebbe reso la Cina più unita, più equa, più vigile e più ironica. Questa ridicola presa di posizione senza alternative è risultata incomprensibile agli inviati stranieri. Sul Financial Times Patti Waldmeir la definiva "estremamente costruttiva". Contemporaneamente, anche i cinesi criticavano la tendenza a "dipingere un funerale come evento gioioso". Lo smog non ammette scherzi.
Patti Waldmeir ha osservato che le persone comuni che di norma fanno attività all’aperto sembrano non avere scelta. Una signora che partecipa ai balli di gruppo in piazza le ha dichiarato che quando il livello di PM 2.5 supera i 140 microgrammi al metro cubo non uscirà di casa. In realtà la soglia originale era di 110 ma poi la qualità dell’aria è peggiorata, e così ha innalzato la soglia di tolleranza. Per tre volte. La stessa Waldmeir ha affermato che sta pensando di rimuovere dal cellulare l'applicazione che monitora il livello d’inquinamento atmosferico.
La guerra del PM 2.5: attacchi e contrattacchi
Mentre l'inquinamento atmosferico è peggiorato, la gente è passata dalla completa ignoranza alla consapevolezza, fino a interrogarsi sulle possibili conseguenze.
In meteorologia lo smog è definito come “un tipo di polveri secche estremamente sottili, che fluttuano in modo omogeneo nell’aria e la rendono complessivamente torbida, riducendo la visibilità a meno di dieci chilometri”. Di queste polveri quella che ha un impatto più forte sulla visibilità è il particolato fine.
All’inizio degli anni Novanta, l’Agenzia statunitense per la tutela ambientale ha iniziato gradualmente a prestare attenzione al PM 2.5 incuriosita dalle ricerche di un epidemiologo del Ministero, Joel Schwartz, che aveva notato uno strano fenomeno. Negli anni Settanta e Ottanta, la cittadina di Steubenville fu esposta a un forte inquinamento da carbone. Anche quando il livello di inquinamento si abbassò, il tasso di mortalità dei cittadini continuò a crescere.
Schwartz fece delle verifiche in altre quattro cittadine americane simili e i risultati furono gli stessi. Applicando i dati sull’intero territorio nazionale, lo studioso affermò che ogni anno i decessi per malattie cardiorespiratorie dovuti all’aumento di forme poco studiate di inquinamento, superavano il numero dei morti causati in quello stesso periodo da incidenti stradali.
Nel 1991, Schwartz presentò i risultati della sua ricerca a un grande convegno scientifico e sostenne che i decessi presi in esame erano riconducibili con ogni probabilità a polveri presenti nell’aria, ancora più piccole rispetto allo standard di quelle fino ad allora analizzate. In seguito, nel 1993, uno studio analizzò un campione di 8mila persone provenienti da sei città americane e ne studiò lo stato di salute, le abitudini di vita e l’ambiente in cui vivevano.
I risultati evidenziavano che il tasso di mortalità aumentava nelle città dove l’inquinamento era maggiore, più 26 per cento rispetto alle città meno inquinate. Nel 1995, sulla base di dati sul PM 2.5 e sulle condizioni di salute di 550mila persone provenienti da cinquanta città americane, l’economista Pope, in uno studio congiunto compiuto con un team di epidemiologi, rilevava che chi risiedeva in zone con alti livelli di inquinamento era esposto a un tasso di mortalità superiore del 17 per cento rispetto ai cittadini che vivevano in luoghi meno inquinati. Nel luglio del 1997, l’Agenzia per la tutela ambientale autorizzò un decreto contenente restrizioni in materia di emissioni di ozono, ponendo come obiettivo la riduzione del particolato fine.
Stando alle cifre circolate all’epoca, il nuovo regolamento avrebbe stanziato l’aumento annuo di 9 miliardi 700 milioni di dollari per coprire i costi di attuazione. Prevedeva l’installazione di nuove strumentazioni, la stima delle emissioni di centrali elettriche e dei motori diesel. Ma non tenne conto della portata dell’attacco così sferrato agli ambienti industriali.
In seguito più di cinquecento aziende petrolifere, imprese automobilistiche e gruppi del settore lanciarono un contrattacco congiunto, ritenendo la risoluzione "infondata". Lo stesso mese, anche il Congresso iniziò a elaborare una nuova normativa, che sostituisse il regolamento. All’epoca, sulla rivista Science, la disputa fu definita la "più significativa battaglia ambientalista degli ultimi dieci anni".
Durante il confronto, Schwartz e i suoi sostenitori dissero che "i circoli industriali si difendono sostenendo che è tutto il frutto di altre fonti di inquinamento, ma sostanzialmente non hanno prove". La replica degli oppositori invece recitava: "i fattori che colpiscono la salute sono molti, non si può affermare arbitrariamente che un certo tipo di elementi abbia un ruolo prevalente rispetto ad altri".
Persino ricercatori non schierati intervennero sulla questione, specificando che era possibile che i dati statistici rilevati nelle sei città isolavano solo alcuni dei fattori in grado di danneggiare la salute. Un rinomato epidemiologo dell’Università, Johns Hopkins, dichiarò che sebbene riconoscesse gli effetti dell’inquinamento atmosferico sul fisico, allo stato delle conoscenze non era sicuro che tali effetti fossero prevalenti rispetto ad altri, né che meritassero di essere condotti sul banco degli imputati o che richiedessero interventi così costosi.
Il risultato di questa serie di attacchi e contrattacchi fu che i dati e le ricerche che mettevano in relazione il particolato fine e la salute aumentarono sempre di più, cosicché l’agenzia per la protezione ambientale revisionò il regolamento sia nel 2006 sia nel 2012, per intensificare le limitazioni del PM 2.5. Oggi, sul sito dell’agenzia, gli utenti possono ancora trovare una “tavola delle aree non in linea con gli standard” e una lista di tutte quelle regioni i cui “progressi” hanno consentito di rientrare nei valori prefissati. La pianificazione compiuta negli Stati uniti prevede che nel 2020 la qualità dell’aria in tutto il paese possa rispettare i nuovi standard.
Nel 1999 gli Stati uniti iniziarono ufficialmente a monitorare la concentrazione di PM 2.5 nell’aria. La ricerca in Cina muoveva allora i primi passi. Il termine huimai [letteralmente “foschia grigia”, ndt], impiegato oggi negli ambienti accademici, fu ufficialmente adottato nel 2002, dopo che alcuni giovani scienziati lo usarono per tradurre l’espressione inglese grey haze.
Lo stesso anno, la Conferenza scientifica svoltasi sulle Colline profumate a Pechino ebbe come tema “i meccanismi e le misure di prevenzione per la formazione del particolato PM 10”. Durante il seminario si discusse formalmente sulla questione dell’inquinamento atmosferico. Alcuni studiosi scelsero per il loro intervento il tema dell’inquinamento dell’aria e dei rischi collegati al PM 2.5, analizzando il tasso di inquinamento riconducibile a questo tipo di polveri sottili e le conseguenze sul fisico delle persone. Nel 2003, Wu Dui (Istituto di ricerca sul clima tropicale e oceanico di Canton dell’Ufficio nazionale di meteorologia) pubblicò il primo saggio in lingua cinese sullo smog. Da lì si è sviluppato tutto il sistema di ricerca accademica cinese sul tema.
Nel 2009, un gruppo di ricercatori dell’Università di Pechino pubblicò sulla rivista inglese Atmospheric Research [la rivista è in realtà olandese anche se pubblicata in lingua inglese, ndt] l’articolo Andamento della visibilità in sei grandi città cinesi dal 1973 al 2007, che rivelava i cambiamenti della visibilità nelle città di Pechino, Chengdu, Guangzhou, Shanghai, Shenyang e Xi’an, coprendo un arco di tempo di oltre trent’anni.
Su Pechino gli autori scrivevano che tra il 1973 e il 1977 la visibilità era scesa rapidamente. Tra il 1978 e il 1998 non si erano verificati grandi cambiamenti ma, a partire dal 1999, aveva cominciato lentamente a risalire. Le altre città prese come campione seguivano di base lo stesso modello, esclusa Shenyang. Come nelle altre metropoli, tra il 1973 e il 1989 la visibilità era diminuita sensibilmente, tuttavia dal 1990 la situazione era migliorata, per poi mantenersi stabile fino al 2007.
La ragione di ciò probabilmente "è legata alla ristrutturazione dei complessi industriali di stato e al rimodellamento dei vecchi poli industriali del Nord-Est". Gli autori aggiungevano: "Nonostante ciò, tra le sei città prese in esame, Shenyang è tuttora quella con la visibilità peggiore".
Un altro dato che emergeva dall’articolo era la relazione tra le stagioni e il livello di visibilità. A parte Pechino e Shenyang, le altre quattro città, situate nel Sud e nel centro della Cina, godevano di una visibilità migliore in estate. Pechino e Shenyang, al contrario, avevano una migliore visibilità in primavera. Esclusa Canton, dove la situazione peggiore si verificava in primavera, nelle rimanenti città la visibilità peggiorava d’inverno.
Tra le ricerche sulla qualità dell’aria in Cina, oltre allo studio sulle sei città, esiste un’altra analisi che ha ugualmente attirato l’attenzione degli ambienti accademici. Si tratta dello studio condotto a Canton da Tie Xuexi (del Centro di ricerca di scienze atmosferiche americano) sulla relazione tra il tasso di mortalità causato dal cancro ai polmoni e l’aerosol atmosferico.
L’articolo, pubblicato dalla rivista Atmospheric Environment, evidenziava che il coefficiente di estinzione atmosferica (strettamente collegato con il valore del PM 2.5) possiede un’elevata rilevanza in relazione al tasso di mortalità dovuta al tumore dei polmoni, e che per di più gli effetti sono in grado di manifestarsi anche con sei o sette anni di ritardo.
Nel giugno 2010, in uno studio sulle cause di mortalità in Cina pubblicato dalla rivista The Lancet, il pulviscolo atmosferico era indicato come la quarta causa di mortalità, tra il fumo (terza causa) e i fumi da cucina (quinta causa). Nello stesso articolo la prima causa erano considerati gli alimenti e le bevande contraffatti, mentre la pressione alta era al secondo posto e l’alcool al settimo.
L’effetto più evidente dell’inquinamento prodotto dal pulviscolo atmosferico è la visibilità ridotta. Uno degli esempi più assurdi è quello dell’autobus che si è perso a Harbin. Un esempio più verosimile è quello dell’Ufficio dell’aviazione civile, che ha richiesto, a partire dal 1 gennaio 2014, che i comandanti in servizio sui voli provenienti dai dieci aeroporti con maggior traffico di passeggeri e diretti all’aeroporto di Pechino dovranno avere l’abilitazione per effettuare due tipi di atterraggio alla cieca.
Gli effetti del particolato sul corpo umano invece hanno condotto all’aumento dei casi di degenza per problemi respiratori. Il caso con maggiore eco è stato quello di Patti Austin, la cantante americana premiata con un grammy, che ha dovuto cancellare l’esibizione prevista a Pechino per un attacco d’asma causato da una grave infezione respiratoria.
Una cappa grigia che ricopre il cielo, auto che avanzano a passo d’uomo lottando contro il tempo per distinguere le lanterne semaforiche, mascherine simili a maschere anti-gas che fanno avanti e indietro sulle carrozze della metropolitana, associazioni dei genitori che richiedono che le scuole vengano equipaggiate con purificatori d’aria per evitare che i figli respirino “aria nociva”, persone che pretendono che ovunque vadano ci siano purificatori d’aria, come se non fosse più possibile respirare appena ci si allontana dagli apparecchi... La vita di città oggi contempla scene di questo tipo.
[Photo credits International Business Times]
Tradotto da
Mauro Crocenzi, 06 Maggio 2014
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