A Yi
阿乙


Ai Guozhu classe 76, in arte A Yi, è fermo all’uscita della metro a testa china su un libro. Indossa una camicia, appoggiata sui jeans e ha uno zaino sulle spalle. Ci presentiamo e camminiamo verso una piccola caffetteria.

Scrittore di romanzi e racconti brevi, A Yi ha due pubbicazioni alle spalle: Storie grigie (灰故事 Hui gushi) è uscito nel 2008 e Uccello, mi hai visto (鸟,看见我了 Niao, kanjian wo le) ampiamente apprezzato dalla critica, nelle libreria dal 2010.

Il suo ultimo libro, Il gatto e il topo ( 猫和老鼠 Mao he laoshu) uscirà a breve. Ha un blog in cui spesso inserisce appunti dei suoi romanzi, pezzi alterati di vita vissuta e racconti brevi. Il suo ultimo lavoro, dal titolo E poi, che altro devo fare? (下面,我该干些什么?Xiamian, wo gai gan xie shenme?) è uscito nel Febbraio 2012.

Non si definisce né un giallista né un autore di romanzi noir. Nel corso della breve passeggiata, mi chiedo rapidamente se l’immagine che ho costruito dai suoi racconti, corrisponda all'identità che da lì a poco scoprirò. Cosa lo spinge a scrivere, qual’è l’origine della sua narrativa, mi chiedo, è soddisfatto o infelice? E poi: ha mai letto David Foster Wallace?

Abbassando gli occhi afferma: esistenzialismo, so ben poco di filosofia, ma Camus, Sarte e Kafka mi hanno sempre ispirato. I suoi scritti hanno spesso a che fare con poliziotti, omicidi e piccole città sperse nella campagna cinese, ma questi elementi non devono ingannare, perché la sua narrativa, ha un sapore diverso.

La vita nei “non luoghi”, la routine esistenziale, l’ha sperimentata di persona: ha fatto il poliziotto per anni, scelta forzata dal sistema scolastico cinese e dall’ironia della sorte. Accademia di polizia e poi anni e anni, in una piccola città nella provincia del Jiangxi: dove s’incontrano le stesse persone, dove la vita procede come ogni giorno, dove la televisione rimane accesa per ore infinite. Ore e ore spese, a giocare a carte, poi c’era un treno, che alla stessa ora passava, sempre ogni giorno, mi ricordava che oltre a quello c’era un altro mondo. Ho preso quel treno

Invece di dilungarsi sulle sue esperienze in divisa, con immagini mi trasporta ancora nel suo mondo abitato da stanze bianche, orologi al muro, percorsi mattutini e serali, identici, tutti uguali. Gli domando, come sia stato essere poliziotto. Eludente e ironico, continua: nella vita non avrei mai voluto fumare e tanto meno fare il poliziotto, ma alla fine fumo e ho fatto il poliziotto.

Poco dopo comincia a raccontare del suo viaggio personale e professionale, che l’ha portato a essere qualcos'altro. Zhengzhou, Guangzhou, Shanghai e alla fine Pechino. Ha lavorato come giornalista sportivo per anni, quella era una passione, all’inizio, quando arriva la professionalità c’è anche la distanza e la freddezza dell’analisi, all’inizio ti emozioni, poi vedi i giocatori, lo sport in generale sotto un’altra prospettiva: ancora una volta, forse, la noia o l'allontanamento dallo stato emozionale di partenza, lo ha distolto dal percorso intrapreso.

Ed ecco arrivare la scrittura, vera e propria ruota di scorta. Uno strumento per ripercorrere la stessa strada, per mettere in evidenza il ridicolo, l'insieme di assurdità che sperimentiamo giornalmente: ma ci pensi? Viviamo su un mondo fatto di cadaveri, sono tutti morti e noi viviamo sopra i loro corpi, ci pensi, così dai tempi dei tempi? Il nonsenso del percorso nascita-morte, la solitudine intima, il farsesco, il dolore, la frustrazione, spesso vengono taciuti nella vita quotidiana, seppelliti da borghesi sorrisi e da comodi divani.

Tutto questo negli scritti di A Yi, ritorna con vigore ed è questo il sapore che hanno i suoi racconti: una riproposizione, con immagini vivide e discorsi vissuti, di quello che nascondiamo a noi stessi. Al termine della nostra chiacchierata non so se A Yi sia felice o soddisfatto della sua vita. Sorridendo mi dice Quando mi annoio, mi trovo una ragazza. Quello che so per certo è che non ha mai letto David Foster Wallace.

[Désirée Marianini]

 

Peony Literary Agency per A Yi