La riforma delle imprese di stato



Le imprese di stato sono al centro del dibattito sulla riforma del sistema industriale cinese. Per alcuni ricettacolo di corruzione e inefficienza, per altri ammiraglie della penetrazione di Pechino sui mercati internazionali. L'opinione dell'economista Hu Angang.

La rapida ascesa nella classifica Fortune Global 500 [lista dei primi 500 gruppi economici mondiali, stilata ogni anno sulla base del loro fatturato dalla rivista Fortune] delle imprese statali cinesi (SOE), che hanno assunto una posizione di primo piano nella competizione economica tra Paesi, è essenzialmente il frutto della competizione di mercato.
All’interno dell’arena internazionale, la competizione è rappresentata – agli occhi della Cina – dalla “guerra” tra multinazionali internazionali e “l’esercito cinese” composto dalle grandi imprese statali.
Dall’inizio di questo secolo, si sta assistendo alla rapida ascesa delle imprese cinesi, che sempre più numerose entrano a far parte della classifica Fortune Global 500, trasformando la struttura dell’economia mondiale, caratterizzata dai monopoli di lunga data delle multinazionali europee, americane e giapponesi.

Il decennio d’oro delle imprese statali

Per valutare i risultati della riforma delle imprese statali è necessario per prima cosa comprendere le varie fasi che ne hanno contraddistinto la riforma e lo sviluppo. Successivamente, sarà necessario chiarire quali siano le differenze tra le imprese statali cinesi e le più importanti imprese globali, osservando in che modo siano cambiate negli anni ed esaminando quanto rapidamente tali differenze si stiano riducendo.
Le imprese del governo centrale come simbolo dell’affermazione delle imprese cinesi nell’arena internazionale.
Nel 1989, la Banca di Cina è diventata la prima impresa della Cina continentale ad entrare nella classifica Fortune Global 500. Nel 2002, la Cina aveva 11 compagnie in classifica; successivamente, questa cifra è cresciuta ininterrottamente fino al 2012, quando ha raggiunto quota 70. In questi 10 anni, le imprese giapponesi sono passate da 88 a 68, mentre quelle statunitensi sono diminuite da 197 a 132. Tra le imprese cinesi presenti nella classifica, quelle di proprietà statale e quelle di cui lo stato è azionista di maggioranza rappresentano la quasi totalità – 66 imprese su 70 -; tra queste, 42 sono gestite dal SASAC (State-owned Asset Supervision and Administration Commission of the State Council).

I settori coperti dalle SOE di grandi dimensioni sono in espansione, ma il gap con le imprese americane è ancora abbastanza grande.

Negli ultimi anni, le SOE cinesi hanno relativamente esteso il loro campo d’azione, ma questo rimane, complessivamente, ancora non sufficientemente grande; in particolare, il gap con gli Stati Uniti è ancora piuttosto evidente. La struttura industriale deve ancora essere ottimizzata. […] Fino al 2005, i settori in cui operavano le SOE cinesi presenti in classifica erano solo 8; nel 2012, il numero di settori è arrivato a quota 22. È possibile affermare quindi che l’ascesa della Cina si manifesta nel miglioramento generale della competitività delle imprese cinesi in ogni settore; tuttavia, la Cina ha una presenza preponderante solo nei settori tradizionali ad alto consumo energetico – costruzioni, miniere, produzione di greggio, prodotti minerari -, mentre nel settore dei servizi – telecomunicazioni, intrattenimento, internet e distribuzione – il gap con gli Stati Uniti è ancora considerevole.

Estendere la presenza in altri settori della Fortune Global 500 è un compito particolarmente arduo per le SOE. Allo stato attuale delle cose, puntare sulle imprese private per colmare tale gap sarebbe però ancor più difficoltoso.
La fetta che le imprese cinesi controllano sui mercati internazionali è ancora lontana da quella delle imprese americane, giapponesi ed europee. Ciò è evidente se si analizzano, ad esempio, i dati relativi al fatturato ed alla percentuale di PIL prodotta dalle imprese cinesi presenti nella classifica Fortune Global 500 nei settori petrolifero, delle telecomunicazioni, delle automobili e dei metalli. Prendendo come parametro il fatturato di tutte le imprese di un Paese presenti nella classifica di Fortune calcolato come percentuale del prodotto globale di settore, la posizione di monopolio degli Stati Uniti e dell’UE nei settori della raffinazione petrolchimica, farmaceutico e delle automobili risulta estremamente evidente. Le loro imprese hanno un fatturato pari ad un quarto o, in certi casi, ad un terzo della produzione mondiale, mentre la Cina - fino ad ora - è riuscita solo nel settore petrolchimico, nel 2010, a superare il 10 per cento del fatturato globale. Il problema non è quindi tanto se le imprese cinesi di livello globale detengano o meno un monopolio, ma, al contrario, nel fatto che il tasso di concentrazione è ancora decisamente insufficiente.  […]

Prendendo in considerazione il solo fatturato, le imprese cinesi stanno crescendo molto, riducendo costantemente il gap con quelle americane, europee e giapponesi.
Nel 1996, le imprese statali cinesi presenti nella classifica Fortune Global 500 rappresentavano solo lo 0,3 per cento del fatturato complessivo di tutte le imprese globali - di questo, un terzo era rappresentato dalle imprese governative di settori non finanziari. La differenza con Stati Uniti, UE e Giappone era rispettivamente pari a 99,4 volte, 102,8 volte e 125,5 volte. […] Nel 2012, il fatturato complessivo delle imprese statali cinesi è arrivato al 15,5 per cento di quello mondiale, con l’11,3 per cento rappresentato dalle imprese pubbliche di settori non finanziari. Il gap con Stati Uniti, UE e Giappone è stato ridotto enormemente, raggiungendo rispettivamente le 2,2 le 2,3 e le 0,97 volte.

[…] Lo stesso è avvenuto in termini di valore assoluto del fatturato, con il rapporto del fatturato lordo tra imprese cinesi e americane che è gradualmente sceso dalle 4,6 volte nel 2010, alle 3,6 volte nel 2011, fino alle 3,2 volte nel 2012.Una ricerca del Development Research Center of the State Council mostra che le imprese statali di grandi dimensioni rappresentano una parte essenziale delle imprese cinesi presenti nella classifica Fortune Global 500: nel 2011 esse erano 316, rappresentando il 63 per cento delle imprese cinesi in classifica, con un fatturato, asset e profitti rispettivamente pari all’83, al 90 e all’82 per cento del totale.

Considerando come parametro gli asset totali, la dimensione delle imprese cinesi cresce incessantemente ed il gap con le imprese americane ed europee continua a ridursi.

Nel 1996 gli asset totali delle imprese cinesi rappresentavano solo lo 0,8 per cento di quelli delle imprese presenti nell’elenco Fortune Global 500 e, di questi, solo lo 0,01 per cento era posseduto da imprese di settori non finanziari. Nel 2012, a seguito della sostanziale riduzione degli asset delle imprese statunitensi, europee e giapponesi, la percentuale di asset totali delle imprese cinesi è salita al 14,8 per cento, di cui il 4,6 per cento rappresentato da imprese non finanziarie. Nell’arco di 16 anni il gap tra imprese cinesi e quelle americane ed europee si è ridotto di circa 15 volte; quello con le imprese giapponesi di quasi 35 volte. […]

Per quel che concerne i profitti, le imprese cinesi hanno già superato quelle giapponesi e gradualmente ridotto il gap con quelle americane ed europee.
Nel 1996, le imprese della Cina continentale rappresentavano solo lo 0,3 per cento - di cui lo 0,04 per cento di imprese non finanziarie - dei profitti totali di tutte le 500 imprese presenti nella classifica stilata dalla rivista Fortune. Stati Uniti e Europa avevano rispettivamente profitti di 160,3 e 114,9 volte più grandi rispetto alla Cina. Nei primi anni del XXI secolo, i profitti complessivi delle imprese della Cina continentale hanno registrato una importante impennata: nel 2009, hanno superato le imprese giapponesi; nel 2010, quando la crisi finanziaria globale stava per raggiungere il suo epilogo, complessivamente i profitti delle imprese cinesi sono arrivati al 13,5 per cento delle 500 imprese più grandi del mondo. Nel 2012, questo stesso dato si è attestato all’11,8 per cento - di cui il 5,0 per cento rappresentato da imprese statali non finanziarie-, permettendo alla Cina di ridurre considerevolmente il gap con Stati Uniti ed Europa – rispettivamente pari a 2,9 volte e 3,0 volte.
La rapida ascesa della Cina ha fornito alle imprese statali cinesi una possibilità di sviluppo senza precedenti; allo stesso tempo, la rapida ascesa delle imprese statali cinesi ha fornito un enorme contributo alla rapida ascesa della Cina.

La rapida ascesa delle imprese statali e quella dell’economia cinese vanno di pari passo e si riflette nella stretta correlazione esistente tra lo sviluppo improvviso delle imprese e la rapida crescita dell’economia. Ciò è reso evidente confrontando la percentuale del fatturato complessivo delle imprese cinesi rispetto al totale di quelle presenti nella classifica Fortune Global 500 e la percentuale di PIL cinese rispetto al totale mondiale. I dati dimostrano che i due indicatori presentano un trend di crescita uniforme.
[…] Il 19 settembre del 2000, l’ex presidente americano Clinton, in un discorso trasmesso in televisione, dichiarò che se la Cina fosse riuscita ad entrare nel WTO, la competizione esterna avrebbe accelerato la fine delle imprese statali cinesi. Tuttavia, dopo quasi due decenni di grandi cambiamenti realizzati grazie alla riforma, le imprese statali cinesi sono riuscite, dopo una fase di forte declino, a superare le difficoltà e a realizzare una rapida ascesa collettiva che gli ha permesso di conquistare l’arena internazionale. Il gruppo di imprese statali cinesi - sempre più forti e competitive - è inevitabilmente diventato la “spina dorsale” della rapida ascesa della Cina e della sua economia.

Tradotto da Piero Cellarosi, 04 Dicembre 2012
 



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